Giuliana Fugazzotto è, tra l’altro, dottore di ricerca in "Studi audiovisivi: cinema, musica e comunicazione". Già docente di Etnomusicologia presso l’Università di Udine-Gorizia e di Informatica musicale presso l’Università di Bologna, ha raccolto, studiato, restaurato e ripubblicato per le etichette Ethnica e Phonè le fonti storiche dei repertori siciliani-italiani registrate su dischi a 78 giri di cui possiede una delle più importanti collezioni private. Numerosi i suoi lavori che hanno fatto conoscere musicisti, cantanti, artisti emigrati che con le loro opere hanno raccontato pezzi di vita comuni a tanti connazionali all’estero, come Sta terra nun fa pi mia. I dischi a 78 giri e la vita in America degli emigranti italiani del primo Novecento (Udine, Nota) ed Ethnic Italian Records. Analisi, conservazione e restauro del repertorio dell’emigrazione italo-americana su dischi a 78 giri (Cargeghe, Editoriale Documenta). Prima di conoscere i nomi, le storie di tanti artisti che hanno conquistato un posto nel mondo della musica, le chiediamo come è nata in lei la passione, l’interesse verso la musica creata proprio dai nostri emigrati…

"La passione per la musica popolare l’ho avuta da sempre e per questo motivo dopo il liceo mi sono iscritta al Dams di Bologna. Lì c’era l’unica cattedra universitaria di etnomusicologia in Italia e il docente era il grande Roberto Leydi. E’ grazie a lui, negli anni dell’università, che ho scoperto l’esistenza di un certo numero di registrazioni di musica popolare incise su dischi a 78 giri prodotti negli Stati Uniti all’inizio del Novecento, ben prima che in Italia si prestasse la dovuta attenzione a quel repertorio. Io avevo visto alcuni di quei dischi, grossi e pesanti, in casa mia vicino a un grammofono che mio nonno, emigrato a New York nel 1909, aveva poi riportato con sé al rientro in Sicilia. Così ne avevo parlato a Leydi e insieme valutammo i documenti sonori conservati in quei dischi. Da quel momento non ho più smesso di prestare il massimo della mia attenzione a quei repertori e ho cominciato a cercare altri dischi, altri emigrati e poi rigattieri, collezionisti, appassionati, e a partecipare a vendite e aste in giro per il mondo".

Qual è il disco più "antico" e quello più recente di questa collezione?

"Dobbiamo fare dei distinguo, se parliamo di dischi a 78 giri in generale, allora i dischi più vecchi che ho sono alcuni fra i primi pubblicati che contengono scenette comiche incise dalla Zonofono a Milano nel 1902 e 1903, e la famosa canzonetta La risata di Berardo Cantalamessa. Se parliamo, invece, di dischi di specifico interesse etnomusicologico, dobbiamo aspettare che le case discografiche si rivolgano a quell’ambito musicale, e quindi andiamo avanti di qualche anno. Ho alcune bellissime incisioni di Mosé Tapiero, un virtuoso di ocarina, registrate nel 1908 a Milano, ed altri bei dischi pubblicati per la Fonografia Nazionale o per la napoletana Phonotype. Dopo quella data cominciamo a navigare nella produzione americana e troviamo un O sole mio inciso da Francesco Daddi nel 1911 ma soprattutto una Novena di Natale con zampogna e ciaramelle del 1915. Poi, dall’anno successivo, inizia la produzione ‘etnica’, quella appositamente pensata per il mercato dell’immigrazione e lì si colloca gran parte della mia collezione".

Per quanto riguarda la musica da ballo, una sua pubblicazione è dedicata a I quattro siciliani. La straordinaria vicenda di Rosario Catalano e del suo quartetto nell’America degli anni Venti, chi sono questi personaggi e qual è stato il contributo al mondo della musica?

"I Quattro Siciliani furono un gruppo di musicisti che si affermarono nel mondo discografico americano all’inizio degli Anni Venti. Il gruppo era formato da Rosario Catalano, mandolinista e manager dell’ensemble, originario di Marsala, Giuseppe Tarantola originario di Camporeale (Palermo), clarinettista e mente musicale del gruppo, Carmelo Ferruggia, di Agrigento, chitarrista, e Girolamo Tumbarello, probabilmente originario di Partanna, al basso. Tutti i componenti, come da tradizione ormai ampiamente documentata, facevano parte in Sicilia di quei gruppi di musicisti semi-professionisti di area urbana, spesso barbieri o sarti, che eseguivano principalmente musica per il ballo. La loro rapida ascesa coincide con il diffondersi di gusti musicali legati alla musica da ballo di matrice europea cui I Quattro Siciliani contribuirono in maniera determinante. La loro prima incisione, del 1917, è contemporanea alla prima incisione di jazz , guarda caso anche questa in gran parte opera di musicisti di origini siciliane e, senza voler dire che i Quattro siciliani influenzarono gli Original Dixieland Jass Band o viceversa, dobbiamo pure riconoscere che i due gruppi, per la grande notorietà di cui godettero in quegli anni, non potevano non conoscere le produzioni musicali di entrambi, né possiamo dimenticare quanto i due stili musicali siano debitori fra loro, almeno negli anni delle prime incisioni. Il gruppo rimase attivo a New York dal 1917 al 1925, anno della prematura scomparsa del leader, ma le incisioni già effettuate dall’ensemble continuarono ad essere ristampate dalle principali Case discografiche, negli Stati Uniti e in Italia, almeno fino agli anni Quaranta del secolo scorso".

Come in altri settori, anche nel campo musicale le donne emigrate hanno lasciato il segno… chi sono state le prime interpreti e autrici e quali erano i "messaggi" delle loro canzoni?

"Prima di rispondere alla sua domanda vorrei ricordare che il flusso migratorio del primo novecento verso le Americhe riguardò principalmente le regioni italiane meridionali e che la presenza femminile rappresentò una minima parte del contingente migratorio. Questo, in parte, spiega la scarsa presenza delle voci femminili nei repertori ‘etnici’ di cui mi occupo anche se le ragioni di tale mancanza sono essenzialmente legate ai veti di carattere socio-culturale che impediscono alle donne emigrate di accedere a quel genere di attività lavorativa. Se è vero che in America le donne contadine o meridionali furono affrancate dalla clausura domestica per trovare un lavoro remunerato, è anche vero che questo non le rese più libere e più indipendenti, ed il lavoro fu comunque considerato una sfortuna necessaria finalizzata principalmente al miglioramento di una situazione economica da poter sfruttare al ritorno in Patria. Le donne degli emigrati, mogli o figlie, non poterono disporre del denaro guadagnato e spesso il lavoro a salario, negli opifici o in casa, costituì un aumento delle responsabilità all’interno della famiglia. Le donne cantanti o musiciste o attrici italiane in America, non appartengono quindi alla cultura contadina e quando compaiono nei repertori discografici ‘etnici’ si uniformano a quel cliché maschile e borghese diffuso nella ribalta musicale italiana e apprezzato oltreoceano. D’altra parte le donne contrattate dalle case discografiche sono sempre a fianco di uomini, in coppia con loro o fanno parte di compagnie teatrali, oppure, se già conosciute in Italia nel teatro di varietà, interpretano brani di musicisti sulla cui fama le case discografiche non temono di investire. Alcune soubrette, è vero, all’interno di questo quadro generale, esprimono il loro punto di vista personale e a volte mostrano una certa attenzione per i problemi sociali e per il mondo femminile. Non possiamo non citare Gilda Mignonette, la ‘regina degli emigranti’ famosa per A cartolina ‘e Napule, una canzone scritta nel 1927 che diventò quasi una bandiera nazionale per gli emigrati italiani; oppure Mimì Aguglia, la ‘Eleonora Duse’ siciliana, che si esibì sia come attrice di varietà e di prosa, sia come cantante nei maggiori teatri europei e del Nord e Sud America. La Aguglia fu la prima artista italiana in America a predere posizione nel dibattito sul diritto di voto alle donne. E non dimentichiamo Rosina Gioiosa Trubia, una delle pochissime voci popolari femminili registrate sui dischi a 78 giri americani, una cantatrice siciliana dalla voce naturale, non impostata, ricchissima di forza espressiva. La Trubia incise solo pochi dischi negli anni Venti del secolo scorso per la casa discografica Brunswick, ma tutti emergono per l’importanza dei testi, la bellezza delle musiche o la reinterpretazione di canti tradizionali: in essi troviamo tanta malinconia per la propria terra ma anche il disappunto per la condizione di sfruttamento economico degli immigrati. Purtroppo di questa donna, unica italiana autrice ed esecutrice delle proprie opere, legata in quegli anni da un contratto con una casa discografica, non sappiamo null’altro, nulla che ci faccia conoscere la sua storia di emigrazione o la sua vita".

In che modo le canzoni hanno influenzato anche il linguaggio?

"Le canzoni e la musica lo hanno influenzato moltissimo, e soprattutto gli sketch comici e le ‘macchiette’ dialettali messi in scena dalle compagnie italiane che avevano incontrato a New York il folto e variegato pubblico delle comunità di emigrati. Fra esse spiccano per valore e notorietà quelle guidate dal napoletano Eduardo Migliaccio, creatore di Farfariello, e dal palermitano Giovanni De Rosalia padre del buffo personaggio Nofrio. Con loro si assiste alla nascita di una nuova lingua d’uso che riformulerà i tratti peculiari dei diversi dialetti meridionali, adattandoli alle necessità e alle abitudini lessicali anglofone sfruttando le capacità mimiche, gestuali, comico-ironiche, foniche, musicali del proprio patrimonio culturale. In tal modo Migliaccio e De Rosalia reinventarono per il loro pubblico il teatro comico italiano e di fatto diedero vita all’americanese, la nuova lingua della comunità italoamericana compresa da tutti gli emigrati italiani indipendentemente dalla loro provenienza regionale, dal background culturale, dall’alfabetizzazione posseduta".

La storia della nostra emigrazione è piena di pagine drammatiche diventate l’emblema delle grandi difficoltà che la nuova vita ha portato… quali di queste sono state "cantate" dai nostri musicisti?

"Sicuramente l’episodio più emblematico è quello di Sacco e Vanzetti, i due anarchici italiani colpevoli soltanto di professare idee considerate sovversive, condannati per un omicidio che non avevano commesso e uccisi sulla sedia elettrica nel 1927. È una delle pagine più nere della storia degli Stati Uniti che in quegli anni furono attraversati da ondate di repressione contro la ‘sovversione’ e la criminalità spesso considerate annidate nel mondo dell’immigrazione. La morte di Sacco e Vanzetti, però, diversamente da quanto sperato dai politici del tempo, è diventata un simbolo contro il capitalismo e la repressione delle classi subalterne e ad esso si ispirano canzoni, pièces teatrali e film. Inutilmente la polizia e la censura hanno cercato di arginare la diffusione di tali opere, etichettando come sovversive le canzoni scritte in quegli anni sull’argomento e sequestrando e materialmente distruggendo i dischi pubblicati. Fra le tante canzoni di quegli anni incise da cantanti italiani negli Stati Uniti, ricordiamo Lettera a Sacco (P’o figlio suoio), Lacrime ’e cundannati (Lacrime di condannati) E figlie ’e nisciune (Senza famiglia), (I figli di nessuno) e Core nun chiagnere, incise da Alfredo Bascetta. E ancora ‘A seggia elettrica (Mamma sfurtunata) di Gaetano Esposito ed E. A. Mario, nome d’arte di Giovanni Ermete Gaeta, incisa da Ria Rosa, A morte ‘e Sacco e Vanzetti interpretata da Giuseppe Milano e Sacco e Vanzetti interpretata da Raoul Romito. Negli anni più recenti, non possiamo dimenticare la famosissima Here’s to you scritta da Ennio Morricone nel 1971 come parte della colonna sonora del film Sacco e Vanzetti, del regista Giuliano Montaldo, interpretata da Joan Baez". Insomma, la musica, le canzoni, hanno sottolineato i momenti della nostra emigrazione, e chissà, magari anche le ballate dedicate a Sacco e Vanzetti hanno contribuito a mantenere vivo negli anni il ricordo di quella pagina dolorosa della nostra emigrazione e ad iniziare un percorso per restituire giustizia alla loro memoria: la riabilitazione "ufficiale" da parte degli Stati Uniti, è arrivata il 23 agosto 1977, cinquant’anni dopo la loro esecuzione".

Giovanna Chiarilli