È comprensibilmente difficile che un pittore del 17° secolo potesse capire come soddisfare i gusti del 21°. Questo quadro è un buon esempio del problema. Si tratta di una copia - del suo stesso studio, l’originale è all'Hermitage, a San Pietroburgo - de "Il banco della selvaggina" (1618- 1621) del pittore fiammingo Frans Snyders. Vista la tematica "alimentare", negli ultimi anni è stato appeso nel refettorio di Hughes Hall, dell’Università di Cambridge.

Poco noto al giorno d’oggi, Snyders era invece famoso al suo tempo come specialista di dipinti con animali, specialmente selvaggi, e con scene di caccia. Fu uno dei primi pittori animalisti della scuola fiamminga. Allievo di Pieter Brueghel il Giovane, fu amico fraterno del ritrattista van Dyck. Rubens invece gli chiese di "ravvivare" le sue tele con fiori, frutta e animali. Ora però il suo quadro è stato "soppresso" - con una certa cagnara giornalistica - in seguito a lamentele da parte di studenti vegani e vegetariani.

Rovinava loro l’appetito - forse comprensibilmente, vista la grande raccolta di animali morti che presenta. Un portavoce ha spiegato: "Le persone che non mangiano la carne lo trovavano un tantino repellente. Hanno chiesto che venisse tolto". All’epoca di Snyders la cacciagione raccolta nell’opera era molto ricercata dai ricchi borghesi di Anversa, la sua città. Né si sarebbero troppo allarmati delle condizioni igieniche della merce, ammucchiata per terra ed evidentemente soggetta alle attenzioni del cane visibile a destra. Vigeva ancora la teoria galenica dei "miasmi" - dell’ "aria cattiva" - come causa delle malattie.

Nasce comunque un piccolo sospetto riguardo alla faccenda. Il quadro di Snyders, che fa parte della raccolta permanente del Museo Fitzwilliam di Cambridge, è stato portato via con sorprendente celerità da parte degli amministratori - e a quanto pare appena in tempo per l’apertura dell’esibizione Fast & Fast: The Art of Food In Europe,1500-1800, di cui ovviamente ora farà parte… La notizia dell’obiezione dietetica è carina, ma sa d’ufficio stampa.

James Hansen