Dal quartier generale del 41° Parallelo Nord, Los Angeles, California, Stati Uniti, l’imperatore Marc’Aurelio ha annunciato: "Un’ora segnata dall’ammutinamento batte nel cielo di Castelvolturno. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è stata già consegnata alle poste italiane per il recapito delle raccomandate". Dall’America con poco amore. Con la voce ruggente e la barba fremente, Aurelio De Laurentiis ha premuto il bottone rosso e dalle batterie presidenziali dell’ira, dell’orgoglio e della rivalsa sono partiti i missili puntati sugli stipendi degli azzurri. Siamo al Vietnam della storia del Napoli. De Laurentiis, contornato dai generali del cavillo, dai colonnelli delle ingiunzioni e dai sergenti dei diritti di immagine, è partito all’attacco urlando: "Abbiamo pazientato venti giorni, ora basta".

Senza il fascino di Paul Newman e la bellezza di Robert Redford, Aurelio ha confezionato la sua stangata somigliando piuttosto al truce Anthony Hopkins del silenzio stampa degli innocenti. Si annuncia una guerra lampo e tuoni. A chi giova non si sa. L’elefante Aurelio si muove nella cristalleria azzurra mandando tutto in frantumi. Egli rivendica il diritto sovrano sul Napoli. "La fallimentare me l’ha dato, guai a chi lo tocca". L’emiro Al Thani del Qatar arretra. Dopo un’opera ingegnosa, paziente, abile durata quindici anni, Aurelio distrugge tutto. Sulle pareti del suo quartier generale lo fisano con sguardi tristi i condottieri degli anni di gloria. Sono i ritratti mesti di Edy Reja, Donadoni, Mazzarri, Benitez, Maurizio Sarri. A due giorni dalla battaglia d’Inghilterra contro il Liverpool, Aurelio consegna al nemico una squadra smontata, svilita, accartocciata che il principino Edoardo, dall’altare alla polvere, ha seguito dalle tribune di San Siro con sguardo mollemente vindice raccogliendo le briciole di un pareggio senza arte né parte. Il famoso "giocattolo rotto". E i cocci sono tutti dei tifosi amareggiati e delusi.

Nella tempesta shakespeariana in cinque atti giudiziari di Aurelio De Laurentiis, un uomo, l’Uomo, solleva il sopracciglio destro, il suo sguardo indaga il 4-4-2 e non ne scorge più le fattezze. È il leader calmo di quando tutti i calmi finivano in gloria. Giunto dall’Europa a miracol mostrare, il miracolo è fallito. Dal palazzo presidenziale gli giunge l’onda delle voci di raccapriccio: "Tradimento! Tradimento!". Cronisti impotenti consegnano i loro computer perché sia Eschilo a raccontare questi tragici giorni del Napoli. La storia aureliana supera le umane capacità di raccontarla. I protagonisti sono certi, l’esito è incerto. Aurelio pretende la resa incondizionata dei conti e i giocatori dovranno passare sotto le forche aureliane, condannati nel frattempo a pane e acqua con lo stipendio di ottobre bloccato, poi ne sarà ordinato il salasso. È la politica del pugno di ferro in guanto d’acciaio contro il buonismo dei tempi. Porte chiuse ad ogni tentativo di perdono.

Nello sfascio littorio del presidente, l’Uomo dal sopracciglio fisso nell’inarcamento definitivo dovrà rappattumare alla meglio un squadra che, nei tempi felici, avrebbe puntato Liverpool per un’impresa, suprema prova di dedizione e gioia, declassata in questi giorni a un viaggio senza un fie tu trascini la nostra vita, quanta piaga m’apristi in mezzo al petto, ecco è fuggito il dì festivo. I media presidenziali di appoggio incitano alla riprovazione e al ludibrio dei giocatori azzurri sino a definire (dalla sera al mattino) Insigne, Mertens, Callejon, Allan e Koulibaly la "banda dei cinque".

Lorenzo di Frattamaggiore sarebbe Al Capino. Il futuro dirà che cosa avrà portato la politica imperiale di Aurelio. Perché un uomo astuto come il presidente hollywoodiano non può ridursi ad una semplice azione di rivalsa sui "traditori". Certamente, ha un progetto. Certamente, sa che cosa fare, come rilanciare il Napoli dopo averne stracciato la storia e la passione, come riproporre il nuovo corso. Il coito è interrotto momentaneamente. Si prefigurano grandi novità. Aurelio ha sempre stupito e non si fermerà a questo momento di Agata stupisci, guarda com’è ridotta questa squadra per te.

Mimmo Carratelli