In termini moderni, l’etichetta praticata ai sontuosi banchetti della Roma Imperiale lasciava a desiderare. Spolpato l’osso, svuotata l’ostrica, i resti finivano per terra insieme con l’altra spazzatura accumulata durante la cena. L’usanza è celebrata in questo particolare di una splendida pavimentazione mosaica conservata al Museo Gregoriano Profano del Vaticano - "profano" in quanto raccoglie arte non cristiana.

Questi memoriali ai resti della cena costituivano allora un noto tema decorativo, di origine greca, ma adottato con entusiasmo dagli antichi romani abbienti: l’asàrotos òikos, cioè, il "pavimento non spazzato". L'ideò nel II secolo a.C. Soso di Pergamo. Qui è ripreso dal maestro mosaicista Eraclito che firma l’opera, proveniente dal "triclinio" - la sala da pranzo - di una villa d’epoca adrianea sull’Aventino.

Il pavimento è disseminato di rimasugli di cibo, come doveva presentarsi alla fine di una gloriosa mangiata: ci sono i frutti, lische di pesci, ossa di pollo, molluschi, conchiglie e perfino un topo (non visibile qui) che rosicchia un guscio di noce: una sottolineatura dello sforzo fatto per rendere "realistici" i resti raffigurati. La tridimensionalità delle zampe, le ossa, i gusci dei ricci di mare ed altro è enfatizzata dalle ombre - però di tonalità e d’orientamento non uniformi.

Vista la perizia con cui fu eseguito il lavoro, si pensa che la variabilità potesse essere un tentativo deliberato di riprodurre l'incerta illuminazione delle lampade a olio. È probabilmente impensabile un’opera simile oggi, non solo per l’evoluzione dell’etichetta ma anche per i costi davvero ingenti di una pavimentazione del genere - almeno se fatta a mano. Comunque, volendo farlo, che segni della nostra civiltà - e di una cena al di sopra delle righe - potremmo lasciare per terra? Forse tappi e sigari spenti, forse solo i tappi...

James Hansen