La crisi del Napoli è profonda e non si sa come risolvibile. Dal "faccia a faccia" di Castelvolturno escono meglio i giocatori. Il tecnico ha contestato loro di non dare il massimo e di non avere personalità. Accusa generica. Circostanziate e pesanti, invece, le critiche dei giocatori: allenamenti blandi, formula di gioco non corrispondente alle propensioni della squadra, scarsa preparazione delle partite di campionato anche in riferimento agli avversari. Un allenatore, di fronte a queste critiche così dure e specifiche, che investono il suo lavoro, e la qualità del suo lavoro, si sarebbe dimesso. Carlo Ancelotti, con grande senso di responsabilità, è rimasto al suo posto evitando che la crisi del Napoli diventasse più profonda e irrisolvibile. Si sarebbe sfasciato tutto. Per affermare la sua autorità, più all’esterno che nello spogliatoio, Ancelotti ha ordinato un ritiro da ieri alla partita col Genk. Metà squadra si sarebbe opposta, ma ha desistito per non ripetere l’ammutinamento del 5 novembre. L’allenatore ha il diritto di decidere sui ritiri. Che cosa produrrà questo ritiro lo vedremo a Udine e nelle partite successive. Il "faccia a faccia" di Castelvolturno, nella crudezza del confronto-scontro ricostruito da Pino Taormina su "Il Mattino", non ha risolto nulla. Non poteva risolvere nulla perché profonda è la distanza fra la squadra, o metà squadra, e l’allenatore. Non c’è stato un "venirsi incontro", c’è stato il "pugno di ferro" di Ancelotti (tutti in ritiro, qui comando io), più formale che sostanziale, che acuirà la tensione generale. Dalle insofferenze contrattuali a quelle sul campo, che i giocatori imputano oggi ai "blandi allenamenti", ma anche alle formazioni ripetutamente rivoluzionate, si sapeva tutto da tempo. Non c’è stato modo, e ancora non c’è, di ricucire. C’è un clima di epurazioni e cessioni, di esclusioni, di scontro, di linea dura, di fratture personali. Il clima è diventato ancora più pesante per la gogna mediatica sull’ormai leggendaria "banda dei cinque" nel silenzio di Ancelotti che sarebbe dovuto intervenire a difesa dei giocatori indicati come i capi della rivolta di novembre. Ha sempre detto: "La squadra è con me, lo spogliatoio è sano". Se il tecnico avesse pubblicamente e fortemente difeso i "cinque" avrebbe forse ripreso in pugno la squadra. È stato un errore non farlo visto che, in corso di stagione, non è possibile disfarsi delle "mele marce" e non lo sarà neanche a gennaio escludendo il probabile "via libera" per Callejon e Mertens verso il noto "paese di merda". In nessuna circostanza, neanche nelle "magistrali" partite col Liverpool, l’allenatore si è compattato con la squadra. È rimasto neutro nei momenti positivi e in quelli negativi. Ha resistito, senza "sciogliersi", all’abbraccio di Insigne a Salisburgo. Infine, dopo la sconfitta col Bologna, ha accusato apertamente i giocatori, una mossa che ha avvelenato maggiormente il clima dello spogliatoio. A meno di volere "offrire" ai tifosi i capri espiatori della crisi. È la squadra che ha tradito, avrà voluto denunciare il tecnico. Mossa pericolosa. È possibile che Ancelotti abbia perso il gusto di restare a Napoli dopo l’insubordinazione della squadra a Castelvolturno e diciamo pure in campo. La crisi è ora apertamente più pesante per quanto rivelato dal "faccia a faccia" di Castelvolturno, mentre si aggiunge un altro elemento di destabilizzazione se è vero che alcuni giocatori avrebbero contestato a Insigne di non avere voluto seguire la squadra a Liverpool, un capitano inadempiente. Si è già sussurrato che non fu il gomito infortunato, guarito poi celermente, il motivo della "diserzione" di Insigne, bensì la prospettiva che Ancelotti lo avrebbe portato a Liverpool destinandolo alla panchina. Se alla frattura fra allenatore e squadra si aggiunge una frattura in seno alla stessa squadra (Insigne e Mertens in disaccordo), dobbiamo aspettarci una stagione di definitivo declino con fondati timori sulla qualificazione agli ottavi di Champions. Di tutto, oggi, si fa colpa al presidente De Laurentiis che, questa estate, avrebbe dovuto sfoltire la rosa dalle "mele marce" e procedere a ben altri acquisti, compreso la chimera Icardi, ma Ancelotti ha sempre coperto la squadra incompleta definendola "bellissima" e persino competitiva per lo scudetto. Fiducia, ottimismo e grandi obiettivi sono stati proclami di facciata che hanno nascosto il disagio azzurro sin da Dimaro, dove ci furono prove del 4-3-3 auspicato dai giocatori poi accantonato. Come già scritto, figure intermedie nello spogliatoio, interpretate dai figli del presidente e dell’allenatore, non erano e non potevano essere le più indicate per intervenire efficacemente nell’attutire i contrasti e governare il clima di insofferenza. Il Napoli non c’è più perché è venuto meno l’uomo che doveva fare la differenza (De Laurentiis: "Ancelotti è il nostro top-player"). Pur lasciando non adeguatamente coperti alcuni ruoli, il Napoli ha preso cinque giocatori costati più di 100 milioni. De Laurentiis ha sicuramente rafforzato la "rosa" nella convinzione che dal secondo posto dell’anno scorso si potesse fare di più. Tutte le previsioni sono sfumate. Sul campo, Ancelotti ha una sola soluzione. Fuori tutti i dissidenti e avanti con i giocatori di buona volontà. Ma così facendo giocherà un Napoli minore e avrà un spogliatoio in subbuglio. Restano in piedi i pesanti problemi denunciati dai giocatori. Gli "allenamenti blandi" sarebbero alla base del rendimento insoddisfacente della squadra. Come saprà e potrà cambiarli Ancelotti?