Le parole del Presidente della Repubblica sull’evasione fiscale, pronunciate pochi giorni fa davanti a una platea di studenti, sono inequivoche: l’evasione è un male perché distorce la civile convivenza e i rapporti di mutuo soccorso tra gli appartenenti ad una medesima comunità. Impostazione, quella del Presidente, ineccepibile, che mette al centro non soltanto valori etici, ma anche princìpi giuridici tutti riportabili alla superiore dimensione della legalità, sulla quale si reggono o si dovrebbero reggere gli stati di diritto. Fermiamo la riflessione su quest’ultima dimensione, mettendo sullo sfondo l’etica, la morale e la filosofia. La legalità ha due facce. La prima, quella che normalmente si osserva e che il Presidente ha ben scolpito, riguarda i cittadini e attiene al rispetto da loro dovuto agli "ordini" di legge. Riflette il pactum subiectionis che li lega allo stato in un rapporto di potere: i cittadini sono soggetti "al" patto. La legalità ha però anche un’altra faccia, ugualmente fondamentale affinché quegli "ordini" siano condivisi, accettati e rispettati. È la faccia dello Stato come soggetto "del" patto. Per inquadrare compiutamente questo aspetto soccorrono le parole diamantine di un altro Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi: "Quando non si fa giustizia, le leggi non sono osservate, nemmeno quelle tributarie, e gli stati vanno alla perdizione" (L’imposta patrimoniale, 1946). Cosa fa venir meno la giustizia della legge, qual è il difetto che la illumina di luce sinistra, così e al tempo stesso da oscurarla? Per non tirarla troppo per le lunghe, si sopporti un’altra citazione perché la risposta viene, dritta dritta, da Piero Calamandrei. Era il 4 marzo 1947, in Assemblea costituente si discuteva di una tavola di princìpi intorno ai quali far crescere la democrazia. Calamandrei affrontò di petto un tabù culturale e politico, tanto vischioso quanto intriso di ipocrisia, che pure oggi occhieggia in molti discorsi: la giustezza e lealtà, presunta e assoluta, del legislatore e della legge rispetto agli "ordini" imposti ai cittadini. Disse: "Guardate, una delle più gravi malattie è quella del discredito delle leggi. Gli italiani hanno sempre avuto assai scarso, ma lo hanno quasi assolutamente perduto il senso della legalità, quel senso che ogni cittadino dovrebbe avere del suo dovere morale, indipendente dalle sanzioni giuridiche, di rispettare la legge, di prenderla sul serio. E questa perdita del senso della legalità è stata determinata dalla slealtà del legislatore" (Atti dell’Assemblea costituente). L’evasione è un fenomeno molto complesso e ridurlo ad un moto di ribellione sarebbe sbagliato. Su questo è bene essere chiari, ma è bene essere chiari anche sulla "slealtà del legislatore". Sarebbe intellettualmente disonesto negare o anche solo sottacere l’esosità della pressione fiscale, l’incomprensibilità delle norme, l’oppressione degli adempimenti, l’ossificazione burocratica, il giustizialismo forcaiolo, l’irrazionalità di alcune pretese. Fatti che, accompagnati al diffuso sperpero del denaro e a servizi pubblici di basa qualità e scarsa efficienza, sollecitano l’evasione. D’altra parte, le neuroscienze applicate all’economia ormai dimostrano con le evidenze di laboratorio come fatti di questo genere inducano alla disapprovazione, al rifiuto e quindi alla disobbedienza. Queste scoperte, che hanno portato al Nobel R.H. Thaler, studioso dell’economia comportamentale e della teoria delle scelte, convincono ulteriormente dell’esigenza di cambiare alla radice il sistema e dare avvio a una vera e propria rivoluzione che porti l’Italia ad avere finalmente un fisco semplice, equo e pungolo dell’economia, in sostituzione di un fisco complicato, iniquo, costosissimo per tutti, compreso lo stato, freno per lo sviluppo e serbatoio di spese improduttive. È molto probabile che cambiando il paradigma della finanza pubblica anche l’evasione, pian piano, possa iniziare a diminuire strutturalmente. Cucire le toppe su un tessuto sdrucito, invece, come anche questo governo sta facendo, serve soltanto ad allargare il buco. E a mandare frettolosamente in soffitta le sagge riflessioni del capo dello Stato.

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