Giampaolo Pansa era il più bravo. E anche quello con il carattere più difficile. La sua scrittura aveva come una magia, inarrivabile. Non gli veniva naturale o d’istinto. Era frutto di un’elaborazione, di un pensare che bisognasse scrivere così, cioè benissimo.
Il suo sogno vero, però, sarebbe stato quello di dirigere un giornale.

Ma non gli è mai riuscito. I suoi giorni migliori erano quando Scalfari andava in ferie, e lasciava il timone a lui, che era stato nominato vicedirettore di Repubblica.
Ma era una battaglia fra elefanti. Scalfari, anche in vacanza, voleva sempre sapere tutto. I titoli e i pezzi più importanti, suggeriva, stimolava, pretendeva. Pansa, giustamente, pensava che per almeno quindici giorni potessero lasciarlo fare.

Ma non è mai accaduto. Era il più bravo. Alla fine, si occupava quasi solo di politica. Ma aveva cominciato con la cronaca, tanta cronaca, come il suo collega Giorgio Bocca d’altra parte. Con Bocca, va detto, non si sono mai sopportati e non sono mai stati davvero amici. Li divideva una generazione (partigiano al 100 per cento Bocca, che là aveva tutti i suoi amici e in suoi ricordi), più generico Pansa che in un certo senso veniva dal nulla, da una piccola borghesia studiosa di provincia.

Due le ossessioni non risolte di Pansa: creare un dialogo fra Scalfari e Bettino Craxi, sempre andato a male. E le Br, a un certo punto si era messo in testa che la redazione milanese di Repubblica (che io dirigevo) fosse infestata da Br travestiti. I suoi sospetti continuarono anche dopo che il generale Dalla Chiesa in persona aveva garantito per noi.
Il finale di Pansa (dalla parte dei vinti) è stata una grande idea editoriale, ma forse pessima per mille altre ragioni. Dipende dai punti di vista.

Resta il fatto che Giampaolo ci ha lasciati e con lui la sua prosa inimitabile, e il suo caratteraccio da persona buona, che però amava passare per il contrario. Che la terra ti sia lieve, come si usa dire, caro Giampaolo, è stato un piacere.

di Giuseppe Turani