Una situazione bloccata e paradossale, ma certo non senza precedenti. In fondo è la vecchia storia della somma di varie debolezze che diventano una forza. Tre per la precisione, a iniziare da quella del Pd. I Democratici vivono ormai in uno stato confusionale permanente. Al punto che nulla è più certo. Nel conclave del partito, riunitosi dopo che Zingaretti aveva addirittura lasciato intendere lo scioglimento del Pd, di tutto si è parlato tranne che di questo. Né gli altri maggiorenti hanno insistito più di tanto, quasi che le parole del segretario fossero state scritte sull’acqua. Insomma, chiacchiere buone a riempire un’altra settimana da far scivolar via senza decidere nulla, mantenendo quel blocco che è allo stato l’unica garanzia di sopravvivenza per tutti i partner della maggioranza. Di contro, dal convegno Dem è emersa chiara una sola cosa: restare al governo ad ogni costo e mettere Conte al riparo da qualsiasi scossone. Anche in caso di clamorosa sconfitta in Emilia Romagna; anche se il prezzo da pagare è la grillizzazione del partito, come ha plasticamente dimostrato il voto in Commissione sull’abolizione della prescrizione. Tuttavia, la manovra Pd conduce inevitabilmente a una tensione crescente col M5S. Mantenere il Governo in vita il più a lungo possibile, infatti, è strumentale ad arrivare al momento delle elezioni per operare una sorta di Opa ostile nei confronti dell’elettorato pentastellato. E qui veniamo alla seconda debolezza: quella di Di Maio e soci. Proprio come il Pd, anche i grillozzi - sentendo ormai certo un pessimo risultato sia in Emilia sia in Calabria - hanno deciso di convocare gli stati generali del partito con largo anticipo. Sarà un vero e proprio regolamento di conti interno, dove Giggino si giocherà tutto ciò che resta della sua residua credibilità puntando a ridisegnare il futuro dei Cinque Stelle: trasformare il movimento in un partito con un consenso molto ridimensionato, ma in grado di essere ago della bilancia grazie a una legge elettorale proporzionale. Di certo la crisi pentastellata appare ormai irreversibile: sono passati i tempi di Grillo che intimava "arrendetevi, siete assediati". Sotto assedio a palazzo Chigi è proprio M5S, senza più piazze a sostegno e col terrore del voto. Il vaffa del comico, partito proprio da Bologna, tra otto giorni diventerà il vaffa degli elettori. Col rischio che un disastro nelle urne in Emilia renda inarrestabile il processo d’implosione in atto nei gruppi parlamentari, mettendo a repentaglio la sopravvivenza del Governo. La terza e ultima debolezza è quella di Renzi. Determinanti per la tenuta della maggioranza, gli italoviventi sanno di poter tirare la corda solo fino ad un certo punto, stando bene attenti a non spezzarla. Pena il loro rapido trasformarsi in italomorenti. Dei partiti che compongono la maggioranza, Italia Viva è quello che ha il minore interesse ad andare alle urne in tempi brevi. Appena nato, il vascello renziano stenta a prendere il largo e ha bisogno di tempo per strutturarsi sui territori. Il punto è che la somma di queste tre debolezze non solo non fa una forza, ma mette a rischio l’Italia. Non c’è bisogno di aver letto le "Note sul Machiavelli" di Gramsci per sapere che quando i partiti perdono il loro insediamento sociale e le loro basi storiche, non solo smarriscono i legami con la società, ma diventano facile preda di forze extra-nazionali che esercitano pressioni per realizzare i loro interessi. Che è esattamente ciò che sta avvenendo sulla Libia. Dove non ci resta altro da fare che scegliere l’interesse altrui al quale accodarci. Sperando in qualche avanzo.

VINCENZO NARDIELLO