Gente d'Italia

L’altro contagio

Più veloce del nuovo coronavirus, il virus della paura ha già contagiato l’economia cinese e allunga la sua ombra su quella globale. Parallelamente al bollettino dei contagi - quasi 6.200, già più della Sars - aumenta di ora in ora il numero delle aziende che decidono di fermare la propria attività in Cina a causa dell’epidemia. Dal settore auto al trasporto aereo, dalla ristorazione all’arredamento, passando per lo sport: nell’era in cui tutto è interconnesso, il misterioso virus 2019-n-CoV ha già costretto alla quarantena oltre 50 milioni di persone - un fatto senza precedenti nella storia moderna - e minaccia ora di far male - molto male - all’economia cinese, la seconda più potente del mondo. Lo ha detto chiaramente Kristalina Georgieva, numero uno del Fondo monetario internazionale: "anche se l’epidemia si dovesse fermare domani, ci sarebbe comunque un impatto negativo nel breve termine" legato soprattutto alle ripercussioni sul turismo e sul settore manifatturiero. E lo ha confermato anche il presidente della Fed Jerome Powell, che ha esteso le ombre a livello globale: il nuovo coronavirus dalla Cina genera incertezze per le prospettive di crescita dell’economia mondiale, anche se alcuni rischi legati alle recenti tensioni commerciali con il Paese asiatico sono diminuite. "Queste situazioni – ha sottolineato Georgieva - dimostrano che viviamo in un mondo dove c’è sempre più incertezza. Siamo ancora nel primo mese del 2020 e abbiamo già visto quello che è successo con gli incendi in Australia, le tensioni nel Medio Oriente e ora con il coronavirus". Proprio per questo, ha aggiunto, "bisogna avere politiche più resistenti agli shock". E quello che sta colpendo l’economia del Dragone è a tutti gli effetti uno shock. Toyota, British Airways, Lufthansa, American Airlines, Klm, Air France. Dopo McDonald’s, anche Starbucks e Ikea. È lunga la lista delle multinazionali che per paura dell’epidemia hanno rivisto la loro presenza in Cina. Senza contare i danni derivanti dallo stop al turismo e dall’annullamento di importanti appuntamenti sportivi, come le prove di Coppa del mondo di sci e la messa in quarantena della nazionale di calcio femminile. Toyota ha annunciato che interromperà la produzione in Cina fino al 9 febbraio, per i timori che l’infezione da coronavirus si diffonda ancora più rapidamente. "Considerati vari fattori, tra cui le linee guida dei governi locali e regionali e la situazione della fornitura di componenti, a partire dal 29 gennaio, abbiamo deciso di interrompere le operazioni nei nostri stabilimenti in Cina fino al 9 febbraio", ha annunciato il portavoce della casa automobilistica Maki Niimi. "Monitoreremo la situazione e prenderemo eventuali ulteriori decisioni sulle operazioni il 10 febbraio". Per la stessa ragione un numero sempre crescente di compagnie aeree sta decidendo di sospendere almeno una parte dei voli da e per la Cina. Il caso più eclatante è quello della British Airways, che ha deciso di sospendere tutti i collegamenti da e per la Cina, con effetto immediato. Seguono Lufthansa (fino al 9 febbraio) e American Airlines (dal 9 febbraio al 27 marzo per i collegamenti tra Los Angeles, Pechino e Shanghai). Alla lista si aggiungono Finnair, Cathay Pacific, Lion Air. E altre – come Klm e Air France – che annunciano la decisione di "ridurre il numero di voli". Aerei a terra e saracinesche chiuse: dopo McDonald’s, annunciano la chiusura temporanea di metà dei loro punti vendita in Cina multinazionali come Starbucks e Ikea. Alla fine del 2019 Starbucks contava in Cina 4.292 negozi, il 16% in più dell’anno precedente. La chiusura, ha precisato la società, avrà un impatto sul trimestre e sull’intero anno fiscale. Stessa decisione - metà dei negozi chiusi - l’ha presa anche Ikea, la multinazionale svedese dell’arredo. Per gli analisti della banca nipponica Nomura, gli effetti del coronavirus sull’economia cinese saranno peggiori di quelli registrati nel 2003 a causa della Sars, con il Pil del primo trimestre 2020 che rischia di "diminuire in modo significativo" rispetto al 6% del quarto trimestre del 2019. L’impatto potrebbe essere anche superiore alla frenata del 2% registrata dall’economia nel secondo trimestre del 2003. Nomura si aspetta che la Cina fornirà abbondante liquidità e credito, specialmente alle aziende più severamente colpite dalla pandemia anche se "sembra improbabile che queste misure possano risollevare l’economia, in quanto l’esplosione dell’epidemia può ulteriormente indebolire la domanda domestica e dunque rendere le politiche accomodanti meno efficaci". Al coro si uniscono le agenzie di rating. I consumi, uno dei pilastri della crescita in fase di consolidamento, si avviano a subire un netto contraccolpo malgrado l’atteso Capodanno lunare, ha osservato Standard & Poor’s. L’agenzia di rating ha ipotizzato che un calo del 10% della spesa per trasporti ed entertainment impatterebbe di circa l′1,2% sul Pil. "L’avversione al rischio e le condizioni finanziarie più critiche potrebbero amplificare le conseguenze, anche sugli investimenti", ha rimarcato il report. Intanto, Hong Kong ha perso il 2,82% al ritorno agli scambi dopo la lunga pausa del Capodanno lunare, mentre i listini europei hanno guadagnato sulla spinta della fiducia dei consumatori e Wall Street si è attestata in positivo dopo la decisione della Federal Reserve di tenere fermi i tassi d’interesse nella sua prima riunione dell’anno. Secondo Morgan Stanley però l’effetto coronavirus potrebbe, nel breve termine, incidere anche sulla crescita globale. Dato per assodato l’impatto negativo che l’epidemia avrà sul Pil, sulla portata ognuno dice la sua. Secondo il responsabile per l’azionario asiatico di Columbia Threadneedle, Soo Nam Ng, l’epidemia potrebbe arrivare a ridurre del 20% il Pil cinese del primo trimestre. Più cauto Marcel Zimmermann, gestore del fondo Lemanik Asian Opportunity, secondo cui "le misure prese per combattere il virus hanno sicuramente ridotto la crescita economica" ma "storicamente questi impatti", al momento non quantificabili, "sono limitati in un contesto di medio termine". L’economia di Wuhan, isolata e ‘chiusa’ dal governo di Pechino, rappresenta un importante centro logistico, dell’auto e dell’acciaio e contribuisce con 214 miliardi di dollari al Pil della Cina (l′1,6%). Secondo un economista dell’Accademia delle scienze sociali cinese, non è escluso che Pechino possa ricorrere a nuove misure di stimolo per l’economia. Nel quarto trimestre del 2019 la crescita della Cina ha fatto registrare il dato più basso degli ultimi 30 anni, un +6% sul quale ha influito la guerra dei dazi con Donald Trump. Ora l’epidemia da coronavirus potrebbe trascinare ulteriormente al ribasso questa tendenza. "La crescita del Pil nel primo trimestre del 2020 potrebbe essere di circa il 5,0% e non possiamo escludere la possibilità di scendere al di sotto del 5,0%", ha detto Zhang Ming, studioso dell’importante think tank del governo. Valutazioni però che potrebbero non allinearsi a quelle ufficiali del governo, che non ha ancora rilasciato alcuna dichiarazione sul tema. L’economista cinese concorda con Nomura sul fatto che il coronavirus potrebbe avere un impatto sull’economia cinese significativamente più grande di quello della Sars, la cui epidemia interessò la Cina tra il 2002 e il 2003. Rispetto ad allora in Cina sono aumentati i consumi e la fruizione dei servizi. L’epidemia, che sta colpendo settori quali turismo, trasporti, ristorazione e intrattenimento, potrebbe avere delle ricadute sui posti di lavoro, causando un aumento del tasso di disoccupazione attualmente al 5,3%. Un intervento del governo a sostegno dell’economia potrebbe portare il disavanzo annuale oltre il 3% del Pil. E la Banca popolare cinese potrebbe ulteriormente ridurre i tassi di riserva e i tassi di interesse. Una cura d’emergenza per far fronte all’altro contagio, quello economico, prima che i suoi effetti costringano la leadership di Xi Jinping a rivedere al ribasso le proprie ambizioni.

GIULIA BELARDELLI

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