"Vado al massimo" canta Vasco Rossi. In realtà quella frase andrebbe attribuita a Fred Buscaglione di cui ricorre il sessantesimo anniversario della scomparsa, avvenuta il 3 febbraio 1960 a Roma all’età di 39 anni. Ferdinando Buscaglione nacque il 23 novembre 1921 a Torino, entrò nel conservatorio a undici anni, ci restò solo tre anni e lo abbandonò a causa delle difficili condizioni economiche della famiglia e da adolescente iniziò ad esibirsi nei locali notturni della città come cantante jazz e polistrumentista. In un periodo in cui la musica leggera italiana era ancora legata ai decenni precedenti, ricca di rime baciate e note sdolcinate, lui si lanciò in un genere nuovo. Tutto avvenne durante la seconda guerra mondiale quando fu catturato in Sardegna dagli americani. Con altri prigionieri mise su un’orchestrina che suonava la musica che piaceva tanto ai soldati statunitensi, il jazz. Dopo la fine della guerra Buscaglione rientrò a Torino e ricominciò a suonare prima in orchestre di altri, poi fondando gli "Asternovas", il suo gruppo. Quindi iniziò una vita randagia fatta di spettacoli in locali notturni di varie città d'Europa, talvolta anche di infimo ordine. A Torino prese a frequentare assiduamente l'amico Leo Chiosso, con cui iniziò a comporre canzoni. Il rapporto tra i due era praticamente simbiotico, al punto che si trasferirono nello stesso palazzo, in due appartamenti dirimpetto l'uno all'altro, in Via Eusebio Bava 26 bis, in zona Vanchiglia. Trascorrevano giorni e notti intere insieme a chiacchierare a scambiarsi idee, battute e frasi musicali che Leo annotava e Fred accennava sulla tastiera del pianoforte. Si trattava di canzoni un po' strampalate che parlavano con ironia di "bulli e pupe", di New York e di Chicago, di duri spietati con i nemici, ma sempre in balia delle donne e dell'alcool. Nacquero così i primi dischi: "Che bambola!", "Teresa non sparare", "Eri piccola così". A introdurli nel mondo discografico fu Gino Latina, anche lui torinese, per il quale la coppia ha scritto "Tchumbala-Bey". Fred si calò nel personaggio, facendosi crescere un paio di baffetti e presentandosi in scena in doppiopetto gessato e cappello a larghe falde. Dunque niente romanticismo, niente aria da ragazzo per bene, niente affetto da raccontare. Più che altro era una caricatura da film, con la sigaretta all’angolo della bocca, faccia da gangster e le pose da duro viste nei polizieschi americani. I suoi modelli venivano da film come "Fronte del Porto", "Giungla d’asfalto", "Il mistero del falco", "Gilda", i suoi attori preferiti erano Humphrey Bogart ,Clark Gable e Robert Mitchum. Se serviva, sul palcoscenico di tanti teatri di varietà si accasciava al suolo colpito dalle micidiali pallottole sparate dalle sue "bambole", oppure era fulminato dalle scariche di fucile della sua Teresa o bersagliato da decine di pugni alla Rocky Marciano di splendide ragazze "modello 103". Ovviamente si rialzava, rideva e continuava a cantare altre canzoni, magari inframezzando i pezzi con una bella bevuta di un bicchiere rigorosamente colmo di whisky. Il personaggio Buscaglione si impone come un vero e proprio "cult", capace di promuovere imitazioni della mala, fingendosi un gangster, riempendo i suoi spettacoli di "status symbol" della caotica vita americana. Così andava in giro con una Thunderbird rosa confetto holliwoodiana, in un Paese, l’Italia, in cui dominavano le Topolino e le Fiat Seicento. Proprio a bordo di quella macchina, mentre è all’apice della parabola, si schianta alle 6.30 di un freddo mercoledì di febbraio contro un camion carico di tufo in una strada del quartiere romano dei Parioli. Gli operai a quell’ora andavano a lavorare, lui rientrava da una notte di baldoria. Una vita al massimo, appunto, sia nella finzione che nella realtà. Da quella morte violenta e assurda è nato un mito che sopravvive ancora oggi di un cantante bislacco, fuori regola, istrione. Qualche settimana dopo la morte, sua madre, Ernesta Poggio, rimasta vedova soltanto un anno e mezzo prima, raccontava che Fred doveva a Leo Chiosso quel personaggio confezionato a misura dei loro testi musicali. "Un personaggio - aggiunse la madre - che metteva a macchietta i luoghi comuni sul vero uomo americano, un duro dal cuore tenero assai sensibile alle maggiorate: il tutto trasferito e riletto in chiave provinciale, all’italiana, senza rinunciare all’immancabile sigaretta nell’angolo della bocca che faceva molto America". Di certo nell’esistenza si mise a copiare tutto quello che si ritrova nei racconti hard boiled d’oltreoceano, compreso l’amore smisurato per l’alcool e le donne. Furono i giovani dell’epoca a creare il mito Buscaglione premiando le sue canzoni, in tempi di assoluta assenza di battage pubblicitario, con vendite calcolate in circa 980.000 copie di 78 giri, cifra iperbolica per l’epoca. Buscaglione nel giro di poco tempo entra quindi nell’Olimpo degli artisti più ambiti. Durante un ingaggio al "Cecile" di Lugano incontra la donna della sua vita, Fatima Ben Embarek, diciottenne marocchina che si cimentava in numeri di alta acrobazia e contorsionismo nel Trio Robin’s. Così Maurizio Ternavasio, nel sul libro "Il grande Fred. Fred Buscaglione, una vita in musica", ha raccontato quella tragica notte romana: "Le strade della capitale, in quella maledetta alba di metà inverno, erano pressoché deserte. D’altronde alle 6,20 di un mercoledì qualsiasi i più sono ancora a letto o, al massimo, si stanno pigramente preparando per la giornata che va a cominciare. A quell’ora invece Fred, il grande Fred, stava apprestandosi ad andare a dormire dopo una delle tante notti che non arrivavano mai alla fine, divenute ancora più frequenti da quando si era separato dalla moglie Fatima, e aveva lasciato definitivamente la sua Torino per stabilirsi in una camera doppia al secondo piano dell’Hotel Rivoli, ai Parioli, dove viveva solo come un cane.Dopo aver cenato con un gruppo di amici alla Taverna degli Artisti di via Margutta, il cantante torinese s’intrattenne prima con un agente teatrale e poi con Mina, quindi fece un salto alla Rupe Tarpea, famoso nightclub dei paraggi, per un rendez-vous con i componenti dell’orchestra diretta dal pianista Paolo Zavallone. Con loro si recò poco dopo nella trattoria notturna del Terminal dell’Aeritalia, in via Giolitti, dove venne avvicinato da Hanna Rasmussen, una giovane molto bella che faceva parte della comitiva, la quale lo aveva non poco corteggiato.Stavano quasi per scoccare le 6,00, quando Buscaglione uscì in compagnia di due orchestrali ai quali aveva offerto un passaggio verso il loro albergo, nelle vicinanze di piazza Barberini. Al volante della potente e un po’ pacchiana Ford Thunderbird rosa-shocking targata TO-286788, il cantante stava percorrendo a una velocità di poco meno di 100 chilometri orari via Paisiello in direzione dei Parioli, quasi come fosse inseguito da un manipolo di quei gangster che avevano popolato alcune tra le sue canzoni di maggior successo. Nei pressi dell’incrocio dove via Rossini diventa viale Aldrovandi, il rombo del motore del suo gioiellino americano gli impedì forse di udire il sordo rumore del camion Lancia Esatau carico di blocchi di tufo che sopraggiungeva dalla sua destra diretto verso Villa Borghese. Resosi conto soltanto all’ultimo della presenza dell’automezzo, Buscaglione tentò di accelerare nel disperato tentativo di precederlo. Ma la spericolata manovra non gli riuscì".

MARCO FERRARI