Altro che solidarietà nazionale, la Lega si isola e risponde con la politica dei muri di rito trumpiano anche sul coronavirus. Succede che lunedì attorno alle 7 di sera a Palazzo Chigi il ministro della Salute, Roberto Speranza, il premier Giuseppe Conte e il commissario straordinario per l’emergenza Angelo Borrelli, incontrano le forze parlamentari di maggioranza e di opposizione per un aggiornamento sulle iniziative. I riflettori sono puntati sull’atteggiamento della delegazione leghista anche perché nel pomeriggio i quattro governatori del Nord, di Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, vergano una lettera indirizzata al ministero della Salute nella quale chiedono che i bambini di qualsiasi nazionalità che rientrano dalla Cina non tornino in classe.

In sostanza l’obiettivo di Luca Zaia, Attilio Fontana, Massimiliano Fedriga e Maurizio Fugatti, è quello di estendere il periodo di isolamento di 15 giorni anche ai piccoli che frequentano le scuole dell’obbligo. E allora la delegazione di via Bellerio capitanata da Eugenio Zoffili e Maria Cristina Cantù non solo ripone sul tavolo di Palazzo Chigi la missiva dei governatori del Nord, ma il duo leghista rilancia con un’offensiva dal sapore trumpiano: la sospensione del Trattato di Schengen. Tradotto: l’intenzione delle truppe di Salvini è quello di reintrodurre i controlli alle frontiere di terra. In soldoni, un muro anticinese.

Ecco, quando esce fuori questa proposta i visi degli altri partecipanti al tavolo stentano a crederci. Perché la posizione del fu Carroccio è quella più populista che sfrutta le paure collettive e serve di conseguenza a racimolare uno zero virgola in più nei sondaggi che a trovare una soluzione per il Paese. La Bestia punta insomma alla rabbia razzista che si è registrata nelle ultime ore. A Torino, ad esempio, una ragazza è stata costretta a scendere dall’autobus al grido "sei una cinese". A Firenze, altro caso, una professoressa del Design Campus di Calenzano ha comunicato agli studenti cinesi di non presentarsi all’esame. Per non parlare del giallo di Frosinone, dove si sarebbe consumata (ma il condizionale è d’obbligo) una sassaiola contro gli studenti di nazionalità sempre cinese dell’Accademia delle Belle Arti.

Ecco, Salvini osserva questi episodi e li cavalca. Ed è come se le lancette dell’orologio del Capitano leghista fossero rimaste ferme alla strategia del citofono, a quando nel quartiere Pilastro di Bologna il segretario della Lega ha suonato al citofono di alcuni sconosciuti per esporli alla condanna pubblica, un giustizialismo popolar-populista che diventa un’arma da campagna elettorale. E adesso che fa? Salvini non solo non risponde al telefono del ministro Speranza che lo ha cercato in vista dell’incontro a palazzo Chigi di oggi ma strumentalizza l’emergenza nazionale. Non è un caso se nemmeno gli alleati Forza Italia e Fratelli d’Italia seguono le bislacche richieste della Lega.

Anna Maria Bernini, capogruppo degli azzurri in Senato, si mostra collaborativa nell’interesse del Paese ponendo alcune condizioni di merito: "C’è stato uno spirito di collaborazione, ma vogliamo aiuti alle imprese sotto il profilo economico, perché soffriranno per la perdita del cento per cento di clienti cinesi e per la preoccupazione che dal resto del mondo temano di venire qua per evitare il rischio del contagio. Abbiamo bisogno che il governo garantisca aiuti al made in Italy e al turismo. I fondi non sono sufficienti".

E lo stesso fa la compagine più di destra della coalizione, vale a dire Fratelli d’Italia. "Abbiamo chiesto – assicura Francesco Lollobrigida – cose specifiche come il sostegno anche alle aziende colpite da questa emergenza e dal blocco dei voli. Abbiamo chiesto di aprire una finestra vaccinale per evitare il sovraffollamento nel pronto soccorso". Trattasi di un altro approccio. Nulla a che vedere con la sospensione del Trattato di Schengen. L’ultima trovata di un leader, Salvini, che preferisce strafare e continuare a isolarsi. Alzando i muri e sparandola sempre più grossa. È il virus della propaganda. Punto.

Giuseppe Alberto Falci