Imprese italiane pronte a un milione di assunzioni, la cifra e la stima sono fornite dal Sole 24 Ore che di Confindustria è il quotidiano. Quindi numeri praticamente ufficiali. Per l’esattezza si legge di 1,1 milioni di offerte, opportunità lavorative, posizioni lavorative che le imprese italiane sono pronte a immettere sul mercato. E non nei prossimi tre anni ma nei tre mesi in corso: circa un milione di offerte di lavoro nel primo trimestre 2020. Ma di questo milione le stesse imprese stimano uno su tre dei possibili nuovi posti di lavoro resteranno vacanti. Per l’esattezza la previsione è di 355 mila posti di lavoro potenziali che resteranno tali, potenziali, vuoti. Perché la tipologia delle competenze richieste non si trova, scarseggia, latita. Specialisti in scienze informatiche, specialisti in fisica e chimica. E tecnici specializzati in varie discipline. Il sistema imprese si prepara a vedere inevase una su tre delle sue necessità in materia di offerta di lavoro. Non una novità: che il sistema della formazione scolastica e universitaria non sia in grado di fornire le competenze professionali richieste dal mondo della produzione è da tempo una costante. Costante che però non viene neanche scalfita. Sia il sistema politico che quello formativo, insomma l’intero sistema paese assume come dato immodificabile il divergere tra offerta e domanda di lavoro. Che la disoccupazione giovanile sia anche in parte causata dalla inadeguatezza della formazione è un dato di fatto che si subisce ma del quale non si ama parlare. E quindi la stima di 355 mila occasioni di lavoro perse nei primi tre mesi 2020. Stima peraltro effettuata prima e senza tener conto del coronavirus. Che c’entra il coronavirus? C’entra, eccome. Migliaia di fabbriche chiuse in Cina significano la sospensione di molte cosiddette catene di valore. Ad esempio i pezzi per alimentare Toyota, General Motors, quasi l’intera industria dell’auto motive. Catene di valore cui partecipa l’Italia. Quale possa essere io danno finale dipende dalla durata ed estensione del blocco produttivo in Cina. Di certo l’Italia non sarà esentata dal danno. Qualcuno stima addirittura un meno 1,8 per cento del Pil mondiale, per l’Italia paese esportatore sarebbero forse due decimali in meno sul proprio striminzito Pil 2020. Altro danno, questo sicuro, sul campo dei consumi cinesi in Italia. Turismo azzerato e filiere del turismo pesantemente colpite. E niente acquisti nel settore del lusso da parte dei cinesi. Forse il coronavirus si mangerà, si sta già mangiando una parte di quel milione e passa di offerte di lavoro che le aziende italiane erano pronte a mettere sul mercato.