Qualche volta il dibattito pubblico sul Reddito di Cittadinanza sembra trasformarsi in uno scontro tra tifoserie. Mentre il tema della povertà assoluta in Italia è talmente serio da meritare di essere approfondito e affrontato oltre gli slogan e le logiche di schieramento. Partendo dal dato di fatto che in Italia esiste una "povertà nella povertà": quella vissuta dai bambini e dalle bambine. I più piccoli sono infatti la fascia di età più colpita dalla crisi economica. Nel 2018 l’Istat calcola più di un milione e 200mila minori in condizioni di povertà assoluta, senza il necessario per una vita quotidiana dignitosa. Sappiamo, per esperienza diretta nelle aree più povere del paese, come la povertà materiale per i bambini facilmente si trasformi in povertà educativa, cioè nell’impossibilità di far fiorire i propri talenti, dare corso alle proprie aspirazioni, andare avanti negli studi. Un danno enorme al futuro dei bambini e al futuro di noi tutti.

Il Reddito di Cittadinanza è un intervento di lotta alla povertà assoluta che non ha precedenti, in Italia, per numero di beneficiari raggiunti e per entità dell’investimento. Sulla scia del precedente Reddito di inclusione – fortemente voluto dall’Alleanza contro la Povertà di cui Save the Children fa parte - ha colmato un divario storico con il resto dell’Europa. Allo stesso tempo, i dati resi disponibili mettono in evidenza come questa misura abbia finora contrastato solo in piccola parte la povertà minorile. Su 916mila nuclei beneficiari (2,4 milioni di persone coinvolte), le famiglie con minori che hanno beneficiato del Reddito sono 378mila (36% dei nuclei). I minori coinvolti sono 664mila, ossia il 27,6%. I nuclei che maggiormente hanno beneficiato del Reddito di Cittadinanza (il 59% dei nuclei beneficiari) sono quelli composti da una o due persone.

Questi dati devono portarci a riflettere sulla necessità di rivedere i criteri di erogazione e la "pesatura" del Reddito di Cittadinanza, per mettere le famiglie con bambini – le più colpite dalla povertà - effettivamente al centro dell’intervento. Occorre inoltre rivedere il criterio secondo il quale le famiglie di origine straniera possono accedere alla misura solo dopo dieci anni di residenza in Italia. Questa soglia, così alta, taglia fuori moltissimi bambini, nati o cresciuti nel nostro Paese, che hanno estremo bisogno di un sostegno materiale per affrontare gli anni delicatissimi della crescita. Per ottenere la massima efficacia dal Reddito di Cittadinanza, è necessario mettere in atto quando necessario, oltre al sostegno economico, un accompagnamento sociale, in particolare per la cura dei più piccoli (penso in particolare ai primi mille giorni di vita, decisivi per lo sviluppo), e per assicurare ai più grandi la frequenza scolastica e la fruizione di attività educative.

Abbiamo bisogno di un Piano nazionale di contrasto alla povertà minorile che consideri il Reddito di Cittadinanza come parte di una strategia più ampia, con obiettivi di medio e lungo periodo e una valutazione di impatto accurata, assieme agli interventi per il potenziamento dei servizi per la prima infanzia (come gli asili nido) e per il sostegno alla genitorialità, superando l’attuale frammentazione. Sì è cercato e si continua a cercare - con molta fatica, come si evince dai dati - di associare il sostegno economico del Reddito di Cittadinanza all’orientamento e all’inserimento lavorativo. Non bisogna però dimenticare che in Italia uno degli elementi che alimenta e rafforza la catena intergenerazionale della povertà è la povertà educativa, quella che già nei primissimi anni di vita è alle base di gravissime diseguaglianze.

Combattere la povertà materiale e la povertà educativa dei bambini e delle bambine è un investimento sul futuro. Il Reddito di Cittadinanza può e deve essere uno degli strumenti per accompagnare nella loro crescita quel milione e duecentomila bambini e bambine che oggi, in povertà assoluta, stanno subendo un grande torto da parte degli adulti. Tutti i bambini in povertà assoluta, non uno di meno.

RAFFAELLA MILANO