Gente d'Italia

E lentamente l’Italia muore

Ci sono degli indicatori che, più di altri, raccontano la condizione di benessere o malessere di una società, di una comunità di donne e uomini; che tracciano con la durezza dei numeri il sentimento profondo delle individualità che la compongono e che ciascuno si porta dentro. Uno di questi è certamente il tasso di natalità che fa affiorare in superficie le aspirazioni e le paure delle persone e che descrive in maniera plastica quello stato di benessere se esiste appunto.

I dati diffusi in questi giorni dall’Istat tratteggiano un Paese in grave crisi demografica, a causa della quale se il trend non dovesse cambiare nei prossimi anni si arriverà nel tempo alla scomparsa del "popolo" che abita le città e i paesi, perché le bambine e i bambini che vengono al mondo sono in numero decisamente inferiore rispetto alle persone che lasciano questa terra meravigliosa che è l’Italia: "il peggior ricambio naturale" tra nati e morti degli ultimi 102 anni, riporta l’amara ricerca. Non si fanno più figli nel Bel Paese, perché le persone, le donne decidono di rinunciare a questo straordinario gesto d’amore e di generosità verso la vita; perché le famiglie non sono in grado di provvedere ai bisogni, talvolta anche elementari, dei propri figli. Un drammatico gesto di sfiducia nel futuro, in se stessi, nelle istituzioni, nello Stato che fa accapponare la pelle. Un dato che se associato a quello sulla povertà che interessa un numero sempre crescente di bambine e di bambini mostra che nel corso di questi ultimi anni questo tema è stato marginale e trascurato dalle agende politiche dei vari partiti.

Ora non c’è più tempo per esitare: serve un Piano per la natalità che non metta le donne davanti a un bivio barbaro tra la "carriera" - ma quale carriera poi, giacché le donne in Italia sono per lo più disoccupate e quando lavorano vengono sottopagate rispetto agli uomini! - e la maternità; e che aiuti le famiglie, le madri e i padri, con incentivi economici, fiscali stabili e duraturi. Che ricostruisca una rete sociale che non scarichi sui singoli l’intera responsabilità sull’educazione e formazione dei minori; che segni un percorso chiaro, netto, condiviso tra tutte le forze perché un Paese dalle culle vuote è un Paese morto, destinato all’estinzione ed è un dramma che deve interessare ciascuno di noi. Perché gli anziani hanno bisogno dei giovani e i giovani hanno bisogno degli anziani.

Questo tema è entrato, secondo alcuni timidamente, nell’agenda politica di questo governo, ma quanto meno c’è: ciò che suscita sconforto è l’indifferenza, anche rispetto a questo ulteriore grido di allarme che la crudezza dei dati ci racconta, da parte delle forze politiche di maggioranza e di minoranza, impegnate in discussioni lontane, talvolta lontanissime dalla vita reale della gente che si sente abbandonata e sfiduciata. Un’assenza che rende ancora più precaria la possibilità di programmare la vita delle donne in particolar modo che non riescono a costruire un progetto di famiglia, di professione e che ci fa capire, banalmente che una società che nega i diritti delle donne nega i diritti dell’intera società.

Un tema che sfugge anche colpevolmente perché sul termine "famiglia" si discute in modo ancora troppo ideologico, al punto da immaginare una trappola lessicale che occulta i termini madre e padre sostituiti da asettici "genitore uno" e "genitore due". Un atteggiamento, permettetemi, alquanto ipocrita del politically correct tutto a scapito di una sostanza fondamentale e quasi ovvia: i figli nascono dalle madri e con i padri. Del resto nessun figlio utilizzerebbe mai quei termini e forse avrebbero fatto meglio, i cultori della negazione, ad accettare l’esistenza di due madri o di due padri laddove esistenti, piuttosto che snaturare uno di quegli affetti che non a caso la psicologia definisce "primari".

Auspico che si torni a parlare seriamente di "famiglia", di persone dentro la famiglia, di diritti fondamentali degli esseri umani che ci spettano al di là dell’appartenenza a una "società naturale" come vollero chiamarla le madri e i padri costituenti, senza aver timore di richiamare questo concetto che ha un tratto reale e simbolico, che racconta chi siamo, da dove veniamo ed è elemento centrale nella costruzione identitaria di ciascuno di noi. Infine, i dati dimostrano che solo le misure economiche erogate alle singole famiglie aiutano, ma non risolvono il tema della natalità oltre a incidere fortemente sulla qualità dell’educazione che ciascuno può ricevere creando sperequazioni inaccettabili.

Ci vuole un’assunzione di responsabilità costante e chiara da parte delle Istituzioni pubbliche che dimostri un impegno incondizionato e costante ad assumere il tema della "maternità" come centrale associato ovviamente, alla necessità non più derogabile, di emancipare la donna da tutti i carichi familiari che questa condizione generale le scarica addosso.

Si devono prevedere investimenti sul sistema sociale e sui servizi tutti che realmente aiutino tutte le famiglie; dunque più asili e non solo più bonus per asili o baby sitter; più scuole, più servizi, più strutture sportive, più scuole di livello, più servizi sociali alle famiglie, più qualità nei trasporti, più sanità, più investimenti nei settori e nei luoghi di formazione delle giovani generazioni. Non è difficile, basta solo un po’ di sana buona volontà.

ANDREA CATIZONE

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