Adesso fanno i pompieri. Ma sono gli stessi che hanno appiccato l’incendio. Si sono accorti che per isolare il virus stanno isolando l’Italia. E se anche il Governo è in retromarcia dopo l’allarmismo sparso a piene mani, vuol dire che la situazione è sfuggita di mano. La ragione è semplice: se tra qualche settimana dovessimo scoprire che abbiamo esagerato e ci siamo autoflagellati senza troppe ragioni, chi li ripagherà i danni compiuti nei giorni in cui una Nazione di 60 milioni di virologi ed epidemiologi ha provocato la paralisi delle attività economiche? Per non dire che all’estero ormai ci guardano come untori e portatori di chissà quale peste misteriosa. Così, dopo quarantene e messaggi ondivaghi e contraddittori, nelle ultime ore sono iniziate le grandi manovre per ridimensionare tutto. Come dire: un aggiustamento in corsa "ad catsum". Assistiamo attoniti a una guerra senza esclusione di colpi finanche tra virologi (quelli veri), che non riescono neppure a mettersi d’accordo tra di loro. C’è chi ricorda che per ora ne ammazza molti di più l’influenza stagionale che il coronavirus, mentre altri lanciano l’allarme sulla prossima pandemia che sarebbe alle porte. E se scienziati ed esperti si accapigliano e se le danno di santa ragione, i politici non possono certo essere da meno. Allora ecco Conte contro i governatori, i governatori contro Conte, Salvini contro il Governo e viceversa. Pare la canzone di Gabbani, invece è roba da far girare la testa. In fondo si potrebbe obiettare che si tratta sempre della solita, incorreggibile Italia isterica e pronta a dividersi su tutto. Anche sulla salute, comprese le immancabili minchiate razziste del Nord contro il Sud. Solo che stavolta l’isteria è collettiva, palcoscenico bollente sul quale sono saliti pure gli scienziati. Tutti pronti a contraddirsi. E a rendere ancora più confuse le poche idee che abbiamo noi, comuni mortali, vittime di un’epidemia di diarrea parolaia che invece di piantare qualche certezza alimenta dubbi e paure. L’unica cosa sicura è che l’Italia si sta fermando e, soprattutto, rischia di fermarsi ancora di più. Hanno diffuso il panico per poi mostrarsi in tv come i protettori del popolo, salvo rendersi conto dei danni che stavano provocando. È giusto dare il massimo d’informazione corretta e trasparente, ma il Covid-19 non è certo il terribile Ebola (e meno male). Nel frattempo, mentre il virus si trasmette dai pazienti alle imprese e rischia di provocare una pandemia di licenziamenti, dilaga la psicosi. Niente più Eucaristia in bocca, addio al segno di pace con la stretta di mano, banditi baci e abbracci: i gesti più umani cancellati da una paura che avevamo solo immaginato leggendo Manzoni e Camus. Ciò che appare è una psicosi dilagante sproporzionata, almeno per ora, all’entità del male. Ovviamente il coronavirus è molto contagioso. Sebbene virulento, però, finora non si è dimostrato più pericoloso di una forte influenza stagionale. Intendiamoci: nessuno vuole minimizzare il problema, ma inquadrarlo nella sua evoluzione aiuterebbe a proporzionare la risposta volta per volta. E ad evitare danni collaterali peggiori del male. Non abbassare la guardia è sacrosanto, ma lo è altrettanto evitare la paralisi dell’economia. In Italia - per dire - ogni anno vengono diagnosticati fino a 9 casi di lebbra, eppure non se li fila nessuno. Dai e dai, alla fine il virus potrebbe finanche contagiare il Governo e far fuori Conte. Che poi rischia di farsi fuori da solo, visto che con i suoi comportamenti schizofrenici l’Esecutivo ha contribuito a diffondere paura e incertezza. Ora spunta addirittura l’ipotesi di un governissimo: come se per affrontare un virus ci fosse bisogno di un’ammucchiata politica e non invece che ognuno faccia il proprio dovere ai vari livelli. Il tutto mentre i nostri politici già si fregano le mani all’idea che l’Ue conceda ulteriore flessibilità. Cioè ci consenta di fare altri debiti. Perché le cure contro l’epidemia costano. Figuriamoci quelle contro il virus della recessione che ci siamo fabbricati in casa.

VINCENZO NARDIELLO