La virulenza di questo Coronavirus è già pandemia, se consideriamo quale sfascio sociale, fobico e psicotico è riuscito a ottenere negli organismi più a rischio di questa Italietta, quelli da tempo malati di proprio, per intenderci: amministratori, politici impreparati ed ignoranti, o cosiddetti scienziati "accademici" paludati e autoreferenziati in una guerra subdola, patetica fra affermazioni e smentite e - last but not least - l'improntitudine e la blasfemia deontologica che sta colpendo, purtroppo, non pochi addetti del mondo mediatico cartaceo, internauta o televisivo. Andiamo per ordine. Se qualcuno avesse avuto ancora dubbi sulla debolezza politica e sulla carenza d'immagine del nostro Paese al di fuori dei confini nazionali, dopo 7-10 giorni di figuracce internazionali, di declassamenti socioeconomici, di condivise considerazioni da quarto mondo da parte dei nostri "partners" europei e non, oggi può ringraziare l'insipienza del nostro governo.

Già, perché, sia ben chiaro, le analisi preoccupate ed allarmistiche, le ipotesi di ghettizzazioni verso l'Italia, non sono improvvise e arbitrarie, ma frutto dell'inaccettabile e dilettantesca gestione di Conte e soci, come dei Salvini, Renzi e compagnia bella. A proposito, che fine ha fatto il ministro degli Esteri da Pomigliano? Leggiamo che l'Italia si è fermata, è stressata e incapace, assistiamo al solito sciacallaggio politico, al ping pong vergognoso della pallina della responsabilità, in un mutuo scambio di ricerca di colpe e tragiche sconsideratezze. È la solita storia che in questi giorni s'esalta in tutta la sua abnorme, decennale, rassegnata impotenza: il virus, l'idea nebulosa e imprecisa che ne abbiamo, ha messo a nudo la nostra nazionale, autoctona immunodeficienza a essere un "Paese serio", la sua diffusa ignoranza, cioè il "non sapere" di cosa parliamo, sia in condizioni di normalità esistenziale, che, peggio, nei momenti topici di una crisi. Rimaniamo un'Armata Brancaleone in cerca di onore o di una illusoria dignità.

La farsa grottesca inscenata fra governo e regioni, fra centralità nazionale e autorità territoriale nell'interesse di conventicole locali, gli inciampi istituzionali e le contraddizioni dialettiche messe in atto da entrambi, hanno svelato l'arcano della nostra tragicomica vulnerabilità. Il quarto potere, che mai come in questi frangenti, sembra essere affastellato in solido coi legaggi dell'appartenenza di campo politico ed idealistico sta completando il cerchio. Lo "scoop" a tutti i costi viene prima della sua relativa attendibilità scientifica, dell'imprescindibile controllo delle fonti. In una Nazione che, con un lucido riscontro, sarebbe corretto e normale affermare la circoscrizione monitorata dell'evento infettivo, esplodono voci incontrollate di epidemie, pandemie, propagazioni inevitabili del virus, ognuna avvalorata dal proprio virologo di scorta. In fondo, questo tipo di giornalismo è un'altra espressione del qualunquismo culturale imperante in Italia.

Ma la discriminazione virale che è in atto lungo la Penisola è ben più drammatica, spoetizzante ed alienante rispetto ad altri eventi di crisi. La fobia e la psicosi del contatto malsano hanno abbattuto l'ultimo baluardo di questa specie d'unità nazionale: la solidarietà umana. Mai, come in questi giorni, il solco fra Nord e Sud è stato così profondo, marcato e figlio idiota di generazioni assemblate più per interesse che per vocazione. Ha ragione Merlo, il giornalista, nel chiamare "mattoidi, quelli che al Sud vietano l'ingresso ai settentrionali" ma saremmo curiosi di sapere come definirebbe la continua "canea" di quelli che al Nord non sono mai stanchi di bollare i meridionali di ben altri volgari, ignominiosi epiteti, e che da decenni invocano una "quarantena legislativa" per costoro! Non si può essere buonisti ed egalitari alla bisogna o per semplice "motu proprio"! Fra terremoti, inondazioni e alluvioni, gli italiani hanno costruito decine di catene solidali, perché le catastrofi di un popolo sono sempre condivisibili per la loro "imprevedibile cecità", anche fra nemici. Nessuno, se non fosse accecato dalla psicofobia territoriale, sarebbe così imbecille da invidiare ad altri, il colera, la peste o la spagnola... gli untori non sono meridionali, di cui la pazienza non è un virus ma una virtù.

ANONIMO NAPOLETANO