C’è un’antica metafora, la cui attribuzione ha più padri, da Bernardo di Chartes a Ruggero Bacone, che dice: "Noi siamo come dei nani sulle spalle di giganti. Possiamo vedere più cose di loro e più lontane perché siamo sollevati e portati in alto dalla loro statura". Purtroppo non sempre è così. Qualche volta i nani non riescono a vedere più dei giganti. A farcelo pensare è la cronaca di questi giorni, di queste ore, "intorcinatasi" nel drammatico guazzabuglio del Coronavirus, in cui tra infiniti consulti e esternazioni di luminari, le ultime "misure" consigliate dagli scienziati e condivise dall’esecutivo, molte di esse, ricalcano addirittura quelle adottate nel regno di Napoli nella maledetta pestilenza del 1656 sotto la formula di "prammatiche", gli odierni decreti. Non potendo riportarle tutte, quasi una ventina, con le loro tassative indicazioni per fronteggiare i contagi, ci limiteremo a citarne qualche significativo frammento. La prima prammatica "comanda" a tutte "le guardie e alle diligenze necessarie di non ammettere in esse persona alcuna di una terra all’altra, se non porteranno i soliti bollettini di salute". Poi si continua: "Chi si ritroverà ammalato, si debba dare notizia agli altri, che abiteranno nella stessa casa; chi avrà comodità di governarsi in casa propria debba darne subito notizia al Deputato Nobile acciocché facci visitare dal medico di detta Ottina, cioè rione; e se ritrovati infermi del mal corrente, debba subito serrarsi la casa con il catenaccio". Quanto poi al vitto, e al mantenimento per quelli che cui si proibisce "ogni pratica", si ordina che "se comprato si debba calare la paniera per una delle finestre e nella quale si porrà detta roba". Inoltre: "Si ordina ai venditori di acqua che, sotto pena di tre anni di galera, non debbano vendere acqua a qualsivoglia sorta di persona". "Chi poi si porta fuori del regno, prima che gli si dia pratica, debba osservare una "quarantana" non meno di 15 giorni non più di quaranta". Ma questa è solo una minima parte di ciò che si "comandava" da parte del comitato di Salute pubblica. Se si considera però che, allora, in soli cinque giorni, si contarono settemila morti, è comprensibile il ricorso a regole come queste. Nel valutare ora l’ultima recente stretta sanitaria, da allarme nazionale, che fa dell’Italia uno stivale tutto rosso, viene un po’ il dubbio che si brancoli ancora nel buio. Da chiedersi: se prima c’era una scala di colori a secondo il rischio, perché Lodi, l‘occhio del ciclone Coronavirus, all’improvviso viene equiparata a Lampedusa? E ancora: per quale criterio la vicinanza di sicurezza consentita e consigliata tra la gente prima fissata in due metri, poi si riduce a un metro? Se il pericolo c’è, non si può eliminare, riducendo la distanza. Questa storia ci fa ricordare un po’ i "valzer" che precedono l’apertura della stagione balneare quando il valore limite di legge dei parametri batteriologici già fissato, spesso oscilla in favore della balneabilità. Nessuno, bene dirlo, può impancarsi a maestro di fronte a una crisi del genere mai vissuta. Per non accrescerla, però, sarebbe opportuno che vi fosse una sola voce ufficiale, di un organismo, di una sorta di unità di crisi, capace di dire al Paese le cose come realmente stanno. Troppi gli spifferi, le stecche e le passerelle del Palazzo. Le misure adottate o in via di adozione sono molto dure, richiedono spiegazioni nette, precise, non sono materia da "bugiardino" che dice e non dice, roba da Sibilla. Ieri mentre l’incertezza regnava sovrana, il Corsera ricordava che a Bologna abbiamo il supercalcolatore Marconi del Cineca, in grado di eseguire 50 milioni di miliardi di calcoli al minuto. È lecito sperare che, nell’alleanza dei supercalcolatori all’opera per cercare i farmaci più efficaci possa essere il Marconi a dire al mondo: "Eureka"? Una parola magica, pare pronunciata da Archimede, per annunciare una grande scoperta, che oggi sarebbe straordinario risentire nel mettere ko questo "virus canaglia".

ALDO DI FRANCESCO