Lui non c’entra, nessuna colpa. Pienamente innocente, si è ritrovato vittima di una sorta di caccia all’untore, sport in voga in quest’Italia impestata dal virus. In questo Paese dove il calcio – divertimento, passione, esagerazione nazionale – continua a rendersi protagonista di assurde, inconcepibili contraddizioni. Ispirato, ovviamente, da chiari palesi interessi di bottega, puntualmente identificabili nel business che ormai lo possiede e lo frastorna a livello mondiale. Campionissimi in finte incertezze finalizzate all’intorbidimento delle acque in modo tale che non ci si capisca più nulla e gli interessati possano regolarsi come vogliono per la realizzazione degli interessi di parte, noi italiani andiamo sempre oltre. Battiamo tutti in materia di pallone, dopo esserci aggiudicato il titolo parziale di secondi al mondo per numero di infettati. Il calcio fa come gli pare, gridando ai quattro venti che rispetta le regole imposte l’ultimo decreto in materia di restrizioni causa virus. Ovvero, città chiuse, blindate, in quarantena, pare che nulla si possa più fare. Escluso il consiglio di cambiate stile di vita.

Umana paura e coscienza civica ci rendono da giorni rispettosi di consigli e regole; il calcio no, non smette di litigare e fa a modo suo. Oggi sapremo cosa decide, la riunione del consiglio federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio è convocata a mezzogiorno. Tre le ipotesi in campo, alla luce dell’ultima querelle andata in scena domenica. Quella di Parma in particolare: i giocatori delle due squadre avevano deciso di non giocare, uno sciopero alla grande come da indicazione espressa del presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, Damiano Tommasi. "Bisogna sospendere tutto, chiudere tutto, è in gioco la salute dei cittadini, il bene primario. I calciatori sono esposti a gravi rischi per la loro salute". La Lega Calcio ha imposto di giocare, la partita è cominciata con un’ora di ritardo rispetto all’orario ufficiale. Mentre il presidente del Consiglio e il ministro dello sport entravano in chiara rotta di collisione.

"Si gioca a porte chiuse", laddove Spadafora vuole imporre lo stop totale al calcio. Dopo aver litigato violentemente con Sky, che a botta di miliardi detiene i diritti per la trasmissione in diretta di tutto il calcio di serie A. "In questo particolare momento per il Paese, dovrebbe sentire il dovere di trasmetterlo in chiaro, a beneficio di tutti gli sportivi che possono entrare negli stadi". Sky aveva già messo a disposizione due sue piattaforme tv, Canale 8 e Cielo, per la trasmissione in chiaro. Ma il ministro puntava evidentemente a qualcosa di irrealizzabile e impraticabile, alla luce di leggi e contratti in essere. Forse a rimettere in gioco la Rai, che si è esclusa da tutto, eccetto le partite della nazionale, per scelta economica finanziaria. Tre le ipotesi oggi in campo. Mezzogiorno di fuoco in Figc.

La prima prevede la continuazione di campionati di A, B e C a porte chiuse, come da decreto firmato Giuseppe Conte, ma è stata ormai superata dal nuovo decreto dello stesso Conte promulgato il giorno dopo; seconda ipotesi: sospensione momentanea dei campionati; la terza, se attuata, scatenerebbe l’inferno: annullamento definitivo della stagione in corso. Traduzione, lo scudetto non assegnato, le retrocessioni neppure, nessuna designazione di squadre per le prossime coppe europee. Se la cosa dovesse prendere piede, dovranno usare catene e camicie di forza per contenere Claudio Lotito, presidente della Lazio, e molti altri dirigenti proprietari di club. Quelli di Juventus, Inter e Atalanta. Può davvero verificarsi il finimondo, oggi nel salone all’ultimo piano del palazzo di vetro in via Allegri.

Detto ciò sugli scenari, uno addirittura apocalittico da conseguente cancellazione del calcio (ma il campionato europeo in programma in Italia a giugno-luglio e la nazionale i cui giocatori non svolgerebbero per mesi nessuna attività agonistica?), è sulla questione del calcio che fa come gli pare che vorrei ritornare. Zona rossa la Lombardia, regione chiusa, blindata, non si entra e non si esce? Provvedimento giusto, corretto, sacrosanto. Ma il calcio ne combina una delle sue. Partita Monopoli-Casertana, campionato di serie C. L’Associazione Italiana Arbitri designa chi? Un direttore di gara di Lodi, Enrico Maggio. Avete letto bene, di Lodi, e è superfluo star qui a dire di questa sventurata città lombarda martoriata dal virus. Venti direzioni in serie C, quarantasei ammonizioni e cinque espulsioni, voto medio 6,42, Enrico Maggio è ritenuto un arbitro affidabile, giovane e bravo. Ha cominciato ragazzino, per caso, incuriosito da un manifesto affisso in una strada della città, lui al ritorno dalla scuola.

"Diventa arbitro, godrai di rimborsi spese e della tessera federale per l’ingresso gratis negli stadi". Inopportuna designazione – una persona di Lodi inviata nel profondo Sud, a Monopoli – , un rischio per la salute, ha provocato la vibrata violenza protesta dei giocatori delle due squadre, il Monopoli e la Casertana. "Troppo rischioso, non giochiamo, ci rifiutiamo". Domanda: ma come si fa a commettere simili errori? Domanda bis: possibile che l’Italia vada in una certa direzione e il calcio continua a marciare per i cavoli suoi, non attenendosi alle regole e alle disposizioni? Terza domanda: che cosa c’è nella testa di chi è deputato a dirigere e designare? Conclusione: a Monopoli protesta e richiesta delle squadre vengono accolte, l’Aia costretta sostituire l’arbitro designato con uno di Cosenza, Mario Vigile.

Pensate pure ai due assistenti indicati come collaboratori dell’arbitro di Lodi: avrebbero corso rischi anche loro, vicini al direttore di gara, operativi nello stesso spogliatoio, Davide Stringoli di Avezzano e Andrea Micaroni di Chieti. E a voler essere non pignolo, ma solo un italiano appena appena preciso, aggiungo che a Terni, sempre campionato di serie C, ha diretto l’arbitro Zufferli di Udine. Se non è zuppa, quantomeno è pan bagnato.

Franco Esposito