Il lungo applauso che anche ieri, alle 11 si è alzato dai balconi di tutta Italia e del mondo intero è andato agli angeli col camice: medici, infermieri, operatori sanitari in prima linea ogni giorno nella lotta al coronavirus, che mettono a rischio la loro salute (i dati dicono che il 12 per cento dei contagiati è composto personale sanitario) e dei loro cari, sacrificando ogni esigenza pur legittima nella lotta alla pandemia. Gesti importanti, che i diretti interessati non possono conoscere, reclusi per dodici ore al giorno nei reparti degli ospedali, costretti a turni massacranti e stretti nell’armatura (tute, mascherine, visiere, guanti) che rende difficile per loro anche alcuni più banali movimenti.

Ci sono medici e infermieri con piaghe alla pelle della faccia, perché devono portare sempre la maschera e gli occhialoni protettivi, da tenere ben stretti, e i turni sono lunghissimi. Finita la giornata, devono togliere gli indumenti protettivi strato dopo strato. Prima i guanti, e poi cominciano a liberarsi della tuta. "Ci hanno detto di disinfettare di nuovo le mani prima di continuare con gli altri strati. Maschera, occhiali e calottina per i capelli vengono per ultimi, dopo essersi rilavati le mani"... spiegano. Ma così anche le mani si screpolano. Finito il turno, rimessi gli abiti normali, ultimo passaggio di disinfezione all’uscita. Nessuno pensa alle loro difficoltà… andare al bagno, bere un bicchiere d’acqua in corsia: "Non puoi certo spogliarti e neanche sollevare la mascherina e passano ore prima di poterlo fare".

LA MASCHERINA

Già, la mascherina…..Avere una mascherina sul volto è diventata una priorità, una rivendicazione, un diritto reclamato. Già ma a chi darle le mascherine, quali mascherine dare, perché metterle, dove metterle è qui che la realtà cede il passo alle illusioni. La realtà è che le mascherine sono e devono essere una priorità, assoluta, per medici, infermieri, personale sanitario, per chi lavora in ospedali, cliniche, ambulatori, ambulanze. Loro prima di tutto e prima di tutti devono avere le mascherine.

Loro prima della gente che fa altri lavori, loro prima della gente per strada. Le mascherine sono in diritto che va garantito a chi entra in contatto con ammalati e contagiati da coronavirus. Dovrebbe essere ovvio ma, a fianco di questa realtà, cammina l’illusione della mascherina diritto prioritario per tutti e l’illusione fa ombra alla realtà. La realtà è che le mascherine vanno date, anzi garantite, prima a chi lavora nella Sanità e a loro e soprattutto a loro vanno date, anzi garantite, non mascherine qualsiasi ma mascherine professionali. La realtà è che la mascherina, se non lavori negli ospedali, se non sei medico o infermiere o altro del genere, la indossi, la metti e la dovresti indossare per diminuire le possibilità di emettere e spargere una sorta di aerosol virale, il tuo (tuo!) potenziale aerosol virale, le tue (tue!) eventuali goccioline di coronavirus.

IL CORONAVIRUS 

Possibile che un virus simile possa mettere in ginocchio il mondo? Il coronavirus è infatti un nuovo virus influenzale, quindi potremmo essere tutti contagiati perché nessuno di noi possiede gli anticorpi. Per capire questo meccanismo basta ricordare ciò che avvenne quando i colonizzatori europei approdarono nel Nuovo mondo, in particolare in America Latina. Infettarono gli indios con malattie che questi ultimi non conoscevano, e così uno dopo l’altro tutti se le presero. L’epidemia cessò quando i sopravvissuti svilupparono gli anticorpi grazie al contagio.

E’ molto probabile che il contagio del coronavirus cesserà quando i 7 miliardi di abitanti di questo pianeta lo avranno tutti avuto. Sfortunatamente il coronavirus ha un tasso di mortalità elevato: più dell’Ebola e forse più della peste. E la reazione irrazionale del mondo intero lo rende tanto pericoloso quanto queste malattie…. Mentre scrivo (20 marzo 2020, ore 18,50) i dati ufficiali dicono che i morti per coronavirus nel mondo sono più di 10mila; i contagiati oltre100mila....

Il pensiero va ai reparti esistenti (e futuri) di terapia intensiva; ai funerali per come si svolgono e alle persone (medici, infermieri, operatori) che accudiscono i malati. Per chi conosce i reparti di terapia intensive sa – al di là delle buone volontà – che in quei luoghi si combatte per la vita contro la morte. Nella solitudine: nell’ansia di sapere se c’è ancora un pezzo di respiro o se la morte si sta avvicinando. I medici sono bravi perché non ti daranno mai una risposta personalizzata: parleranno di statistiche di chi si salva e di chi è vittima di una prognosi fatale.

Ti conterai tra chi si salva, perché è l’unico modo per sperare. Improvvisamente tutto è cambiato: sei un paziente in mano altrui. Se sei vecchio, la confusione è totale: senti il freddo dell’abbandono e degli aghi, cannule e caschi di cui sei pieno. Se le vene sono sufficientemente evidenti va bene, altrimenti saranno costretti a bucarti fino a che non troveranno il tuo sangue. Dopo le prime ansie, entrerai in una specie di zona grigia: anche con l’aiuto di qualche sedativo. Aspetti e puoi appellarti a chi vuoi, ricordando cose che ti sono più care. Intorno è silenzio e il muoversi di persone che vanno e vengono. Non conosci nessuno; hai solo la possibilità di guardare gli occhi di chi fa qualcosa per te. Speri in un cenno di sorriso. Fino a che inizia l’agonia. Un periodo più o meno lungo di preparazione alla morte. Da quando sei partito, per giorni e settimane, sei rimasto solo, senza nessuno accanto.

La condizione più straziante è per chi proviene da strutture dove era già ricoverato per malattie pregresse. I tuoi non potevano assisterti e ti hanno sistemato in qualche luogo sanitario. L’economia di scala ha suggerito dai 20 ai 40 posti letto, con personale che ha dovuto rispettare il minutaggio per la tua assistenza. Lì almeno potevi avere qualche visita. Qui nessuno. È uno dei dolori più lancinanti. Invocherai che qualcosa non ti faccia pensare, per non impazzire. Se morirai, i tuoi lo sapranno per telefono. L’unica presenza è la fotina sui necrologi del giornale.

Il virus è cinico e vigliacco. Sembra invisibile e invece è molto presente e diffusivo. Non perdona nessuno: nemmeno chi, con dedizione e sacrificio, ha rischiato per te; qualcuno ne è rimasto vittima, nonostante maschere e grembiuli. Sarebbe bello che l’angelo custode ti apparisse, ti parlasse per consolarti. Dovrai accontentarti di chi quotidianamente lotta per salvarti la vita: sono angeli anche loro. Lo sforzo di tutelare chi è a rischio è alto. L’umanità e le competenze dell’accudimento non devono aver remore, né tanto meno calcoli. Se il virus entra in luoghi resi fragili dalle condizioni fisiche delle persone è la fine.

Di fronte a simili tragedie fa un po’ sorridere chi oggi si preoccupa delle chiese chiuse e delle messe saltate. Si sono dimenticati di quante volte, pur essendo le chiese aperte e le messe celebrate, sono andati al mare o a fare la spesa. Fanno rabbia, invece, quanti sono superficiali e spocchiosi. Non riescono a stare nella propria casa per giorni: basterebbe pensare all’ipotesi di un ricovero in terapia intensiva per diventare più seri. Penso che la vita è un bene preziosissimo e va tutelato sempre, soprattutto per chi ha condizioni deboli e residue. Perdonate quest’ultima riflessione che per pochi secondi, solo pochi secondi, ha occupato la mia mente...

Ho pensato anche all’imbecille xenofobo di Montevideo dal cognome italico che continua a scriverci insultando noi e l’Italia ( "Los datos confirmados para hoy en su " modélico" país llegan ya a lo extravagante. No sirven ni para parar un virus. Son tan inútiles como durante la guerra. No intoxiquen más con el panfleto que mandan todos los días con El País…) A lui, a Cesare - omettiamo il cognome - gli rispondiamo così: noi italiani siamo misericordiosi ti perdoniamo... e non ci auguriamo che il signor Coronavirus venga a trovarti, ti stringa la mano e ti abbracci... come sta facendo con tutti gli umani del mondo... No, speriamo ti ignori, come faremo noi...

MIMMO PORPIGLIA