L'Italia si è riaffacciata al balcone. Per sperare nel futuro, ringraziare gli eroi civili, incoraggiare, darsi la mano, guardare negli occhi il prossimo, salutare i vicini di casa, insomma provare a resistere. Per cantare l’Inno di Mameli e tutte e tutte le più belle canzoni che la tradizione popolare ha elevato a inni alla vita e sventolare il Tricolore per esprimere l’orgoglio di appartenere ad una comunità. È un’altra delle "sorprese" di questi giorni impetuosi. Relegato ormai da tempo ai margini della vita, trascorsa quasi tutta fuori casa e a ritmi velocissimi, il balcone sta vivendo un’insperata "primavera". È tornato il luogo in cui respirare un po' d’aria, guardare uno spicchio di cielo, da dove far filtrare i raggi del sole. L’unica e ultima frontiera di umanità, da valicare con gli occhi, il cuore, il pensiero e l’ardente desiderio di poter tornare presto sulle strade della vita.

Nel Sud la vita, soprattutto nei paesi, è sempre stata scandita dalle chiacchiere da balcone, cioè dai discorsi, dalle litigate, dai convenevoli che il vicinato si scambiava affacciandosi sulla strada per mezzo del balcone. Sul balcone si stendevano i panni e durante le feste era usanza andare da un conoscente o un familiare che avesse un balcone ben esposto sulla strada per vedere meglio la processione e la cerimonia e si invitavano conoscenti, familiari e amici per l’occasione. Quindi il balcone privato diventava, nuovamente, un’occasione di socialità e, in altri tempi, di appartenenza ad una famiglia o ad un’altra. Ancora oggi questa dimensione del balcone "sociale" sussiste nei paesini.

Dal balcone una signora "ordina" la spesa al fruttivendolo, al panettiere, al commerciante al piano terra e questi per mezzo di una carrucola gliela fa salire, scambiandosi nel frattempo notizie fresche di giornata. È anche la riscoperta del "panaro", il semplice cesto in plastica o vimini, legato a una corda di canapa usato a mo’ di saliscendi, basta tirare giù il cestino e il contatto umano è evitato. Una tradizione totalmente napoletana, sacra per gli abitanti del Sud, ma sconosciuta e incomprensibile al resto d’Italia. Il termine deriva dal latino "panarum" che stava a indicare un cesto nel quale riporre il pane. Ed è proprio da questa parola che nasce il sostantivo italiano paniere.

Sono numerosi gli esempi che dimostrano come anche dai balconi sia passata la storia del Paese. Nel 1982 l'allora premier Spadolini si mostrò dalla finestra, scansando le tende, dopo la vittoria della nazionale di calcio in una delle partite del Mundial benedicendo, ricambiato, i caroselli dei tifosi sulla piazza. Dieci anni dopo, nel 1992, dopo la morte di Falcone, a pochi giorni dall’attentato, Palermo stese "lenzuola bianche" in segno di protesta. I palermitani avevano capito che la loro indignazione era importante e bisognava dire basta a Cosa Nostra. Tirarono fuori i corredi e la città si ricoprì di bianco. Con la scritta "Ora basta". Quelle lenzuola contro la mafia diventarono il nuovo simbolo di lotta contro il sistema e Marta era una che per vent’anni è stata in prima linea per l’antimafia.

A settembre del 2018 fece scalpore l'esultanza di Luigi Di Maio, al termine del Consiglio dei ministri in cui Cinquestelle e Lega avevano trovato l'accordo per fissare l'obiettivo di deficit/Pil al 2,4%. Affacciato al balcone di Palazzo Chigi, con gli altri ministri del Movimento 5 Stelle, il vicepremier festeggiò di fronte a un gruppo di parlamentari pentastellati, con bandiere e striscioni, in piazza Colonna. L’uso politico del balcone di casa è tornato in occasione degli striscioni anti Salvini, rivelando una forma di cultura radicata negli italiani, un popolo che ha vissuto per ventennio sotto la dittatura di Benito Mussolini che si era affacciato sul balcone di Piazza Venezia. Insomma, spesso sono stati sono spesso i balconi "privati" i principali avversari dei balconi "pubblici". Perché il balcone "politico" è sempre un luogo ambiguo, sia quando vi si affacciano i dittatori di vario calibro, sia quando lo usano i campioni dichiarati della libertà e dei diritti.

Il politico che dal balcone parla alla folla, per spiegare, per proclamare, per festeggiare i comuni trionfi, fa un gesto che può considerarsi democratico, perché, anche se mente, si espone, ci mette la faccia, si consegna alla riflessione e alla memoria di coloro che sanno giudicare e che sono capaci di non dimenticare. E tuttavia il balcone sta in alto: chi sta giù, per vedere l’arringatore, è costretto a sollevare il capo, è in uno stato di fisica soggezione, perché gli uomini del potere li senti, ma non li tocchi. L’antico e latente vizio del potere in Italia o di certo potere del tutto incapace di decorosa compostezza, condannato all'esibizionismo, all'ostentazione, alla mancanza di rispetto per le forme e per ogni sorta di sorvegliata dignità.

VALENTINO LOSITO