Gente d'Italia

Ma alla salute non bastano le deroghe

Il governo ha in questi ultimi giorni, di fronte alla drammatica evenienza del Coronavirus, emanato numerose norme, decreti, circolari, indicazioni, per rafforzare il nostro sistema sanitario nazionale messo in grandissima difficoltà, in particolare in Lombardia, dall’allargarsi del contagio. In tutta fretta ci troviamo a doverci procurare mascherine, camici, respiratori. Dobbiamo aumentare i posti letto di degenza, dobbiamo accrescere le disponibilità delle rianimazioni e delle subintensive, produrre e comperare presidi per la respirazione assistita. Dobbiamo di corsa assumere infermieri e medici, rendere subito operativi laureati in medicina non specializzati, far lavorare gli specializzandi, dobbiamo chiedere agli operatori sanitari ore e ore di lavoro straordinario. Bene, finalmente. La risposta sanitaria è ancora una delle condizioni fondamentali per sconfiggere il virus o comunque ridurne l’impatto, mentre prendiamo tempo e cerchiamo di rallentare e diminuire il contagio attraverso le misure di distanziamento sociale.

Tuttavia, leggendo con attenzione le nuove norme, tutte emanate con decreto, se non addirittura con ordinanza della Protezione Civile, ci si accorge che non si tratta soltanto di misure straordinarie che si aggiungono, per far fronte ad una situazione eccezionale, alle normali attività di implementazione delle risorse, di personale e di tecnologie di cui un sistema sanitario dovrebbe dotarsi in modo regolare per far fronte agli inevitabilmente crescenti bisogni di salute. Invece non si tratta di questo. Quasi tutte le misure per accrescere le dotazioni dei servizi sanitari devono andare "in deroga" a precedenti disposizioni di legge. Come è possibile che per assumere personale, per comperare respiratori, per aprire posti letto, per acquistare prestazioni sanitarie che servono alla salute dei cittadini, occorra derogare delle leggi? Non si fanno normalmente assunzioni di medici e infermieri, se non altro per sostituire quelli che vanno in pensione? Non si acquistano normalmente le attrezzature sanitarie che servono? Non dovrebbe bastare aumentare le risorse a disposizione di consueti canali di approvvigionamento?

No. Non succede così. Nel corso degli anni sono stati posti alla sanità tetti di spesa, vincoli nel numero dei posti letto, blocchi alla spesa per l’acquisto delle tecnologie, tutte misure finalizzate a ridurre e contenere la spesa. Ogni volta che nei decreti di questi giorni si legge la frase "in deroga al decreto n°…" significa che nel passato abbiamo posto limiti e effettuato tagli lineari che non solo hanno indebolito il sistema sanitario nel suo complesso, non solo hanno reso ancora più fragili la sanità delle regioni più povere di servizi, ma hanno impedito, una volta che la crisi è cominciata, che le strutture sanitarie potessero cominciare ad attrezzarsi da subito. Abbiamo dovuto usare la Protezione civile per superare quei tetti che abbiamo imposto per legge e poi fare tanti e ripetuti decreti "in deroga". Persino per retribuire le ore di lavoro in più di quei medici, infermieri, tecnici che oggi chiamiamo eroi dobbiamo "derogare" ad una legge (tra le tante il decreto legislativo 75/2017) che imponeva che nel 2017 le spese per queste voci non potessero superare quelle dell’anno precedente, che, come tutti sanno, significa operare ogni anno un taglio delle disponibilità.

E anche per implementare le risorse di tutti gli enti di ricerca, oggi impegnati nella lotta contro l’epidemia, per testare le cure, curare i vaccini, studiare gli andamenti, abbiamo dovuto derogare ai tetti nel reperimento del personale degli enti di ricerca (decreto legislativo 218/2016). Per derogare occorre preparare delle leggi e per fare delle leggi occorre tempo. Ora quindi siamo alla rincorsa affannosa e sempre in ritardo delle necessità imposte dalla pandemia. Nel 1992 (legge 421/92) si decise che occorreva riorganizzare la sanità con l’obiettivo esplicito di contenere la spesa e da allora si è perseguito sostanzialmente soltanto quell’obiettivo, riducendo i posti letto (da 664 nel 1992 a 275 nel 2015 ogni centomila abitanti. Dati OMS), bloccando le assunzioni, mettendo il numero chiuso per i medici e le professioni sanitarie, paralizzando la contrattazione sindacale, mettendo tetti all’acquisto degli strumenti e delle prestazioni, creando le aziende sanitarie e imponendo loro l’obiettivo, non di spendere al meglio le risorse a disposizione, ma di tagliare, di spendere sempre meno degli anni precedenti. Trenta anni di contenimento nei confronti del quale oggi dobbiamo in tutta fretta derogare.

Cosa succederà quando l’emergenza sarà superata? Verranno meno le deroghe e torneremo a tagliare? Gli eroi in camice bianco torneranno ad essere un peso cui bloccare la contrattazione sindacale e la possibilità di fare gli straordinari, un esercito di precari assunti a progetto, in somministrazione, a part-time? E il sistema sanitario migliore del mondo tornerà a essere etichettato come il pozzo senza fondo che mangia risorse e che deve essere contenuto, privatizzato, appaltato, costretto alla fame, per il quale occorre aumentare i ticket, tagliare le prestazioni, ridurre i farmaci consentiti, diminuire le ore di assistenza domiciliare a cronici e disabili? I medici e gli operatori che sono stati assunti e mandati in prima linea a combattere per noi, li manderemo a casa, con tanti saluti e magari qualche ringraziamento? Fino alla prossima emergenza e alle prossime deroghe?

GIULIA RODANO

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