Nel 2018, il dato disponibile più recente, erano stato stimati in almeno 15.000 i ricercatori italiani impegnati negli Stati Uniti, tra agenzie federali, università e istituti di ricerca privati. Un dato, tra l'altro, attendibilissimo, dal momento che la National Science Foundation è una agenzia federale del governo degli USA nei campi della istruzione e della ricerca. Ente creato il 10 maggio 1950 e che ha un budget annuo di quasi 8 miliardi di dollari. E i ricercatori italiani rappresentano una risorsa unica e formano un ponte, di importanza vitale, tra Stati Uniti e Italia. Un preambolo assolutamente necessario per rimarcare, ancora una volta, il contributo che i ricercatori italiani offrono alla scienza, in generale e alla ricerca a stelle e strisce in particolare, i cui successi, spesso, sono caratterizzati dalla presenza italiana.

Come anche nel caso della University of Pittsburgh che ha testato un potenziale vaccino contro il Coronavirus nella forma di un cerotto di un centimetro e mezzo provvisto di 400 minuscoli aghi. E, l'aspetto ancora più esaltante, è che se dovesse arrivare nelle nostre mani, come è la speranza di tutti, il vaccino potremmo farcelo da soli. "Basterà tenerlo premuto sul braccio per un minuto". Lo ha spiegato uno dei ricercatori, che non poteva che essere italiano: Andrea Gambotto. Docente associato all'ateneo della Pennsylvania, il prof. Gambotto è co-autore con il prof. Louis Falo, di uno studio pubblicato da EBioMedicine.

Andrea Gambotto si è laureato in medicina nel 1994, a Bari, poi gli studi al Department of Molecular Genetics and Biochemistry alla University of Pittsburgh School of Medicine e una lunga serie di successi nella scoperta dei vaccini. Così si va dalla Zika, quindi MERS, EBOLA PEDV, influenza, virus del papilloma umano, SARS... Un elenco interminabile al quale si è aggiunto anche il COVID-19 con questo vaccino che ha dato i primi risultati positivi nei test sulle cavie e tra un paio di mesi, in giugno, sono previste le prime prove sull'essere umano. Da Bari a Pittsburgh, questo il viaggio del prof. Gambotto, un altro esempio, importante, della fuga dei cervelli che da decenni colpisce l'Italia. E accanto al ricercatore pugliese, si potrebbero fare ancora tanti altri nomi eccellenti che hanno scelto gli Stati Uniti, a cominciare dalla virologa Ilaria Capua, dal 2016 alla University of Florida di Gainesville.

E solo per restare al campo medico, non si contano le università, istituti privati di primo piano negli Stati Uniti, che si avvalgono della presenza di ricercatori italiani che hanno studiato nelle università del nostro Paese. Alla University of Miami, per restare ancora in Florida, porta avanti la sua missione il prof. Camillo Ricordi (discendente della celebre famiglia milanese che nel 1808, con Giovanni Ricordi, fondò la casa editrice di edizioni musicali) che dal 1996 guida il Diabetes Research Institute dell'ateneo, un luminare, massimo esperto mondiale nella ricerca sul diabete tipo 1. E proprio per radunare i ricercatori italiani, renderne ancora maggiormente visibile il grande impegno, gli straordinari risultati, il Comitato Tricolore per gli Italiani nel Mondo (CTIM), l'associazione fondata nel 1968 da Mirko Tremaglia, che oggi ha alla sua guida Vincenzo Arcobelli, ogni anno organizza negli Stati Uniti la 'Conference of Italian Researcher in the World', l'appuntamento che riunisce i principali esponenti della ricerca italiani sparsi su tutto il pianeta, la cui ultima edizione, la 14ª, si è svolta a Miami lo scorso dicembre.

Un momento importante per la ricerca, in tutti i campi, ma che ovviamente ha un occhio di riguardo proprio per quella dedicata alla medicina in particolare nelle università statunitensi. Ma per restare nel Nord America, svolge la propria attività anche la ISSNAF, Italian Scientists and Scholars of North America Foundation, che ha la propria sede in California, a Menlo Park (dove c'è anche la città di Facebook), organizzazione non-profit la cui missione è quella di promuovere la cooperazione scientifica, accademica, tecnologica tra gli scienziati, i ricercatori italiani che lavorano negli Stati Uniti e il mondo della ricerca in Italia. E se ogni anno vengono premiati in giovani che maggiormente si mettono in evidenza con il proprio lavoro di ricerca, in questo momento di grande crisi, ha messo in atto iniziative di sostegno per la ricerca medica a Roma, Napoli e Milano.

Roberto Zanni