Chiunque abbia amato il teatro dagli anni Sessanta del secolo scorso in poi lo ricorderà per il suo carisma: figura netta e decisa sul palcoscenico, mai una mossa o una parola di troppo, mai un gesto fuori posto. Era un artista completo, totale, senza confini. Dal doppiaggio morbido e perentorio (fu la voce di Marlon Brando in “Apocalypse Now”), al grande teatro con Luca Ronconi e Giorgio Strehler, dal cinema di genere hollywoodiano a qualche pellicola b-movie all’italiana. Apparteneva a quella generazione di attori forti (Giancarlo Sbragia, Luigi Vannucchi, Eros Pagni, Raoul Grassilli, Umberto Orsini) che ha consolidato il teatro italiano dal dopoguerra a fine Novecento. Una generazione che si è forgiata negli anni Cinquanta, sessanta e settanta consolidando un pubblico solido, affezionato e preparato e soprattutto invogliando i giovani. Non solo, quegli attori sono riusciti, oltre alle grandi performance sul palcoscenico, a creare una televisione di qualità con indimenticabili sceneggiati.

Fantoni, nato a Roma nell’agosto del 1930, da una famiglia già impegnata nell’attività artistica, iscrittosi all’Università per studi di architettura e ingegneria, finì anche lui per fare l’attore. I suoi esordi furono nel cinema del primo dopoguerra con registi come Matarazzo e Francisci, finché non venne scoperto da Luchino Visconti che nel 1954 gli diede un ruolo secondario nel film “Senso”, quello del maestro milanese. Nel 1959 il grande regista degli sceneggiati tv italiani, Anton Giulio Majano, lo scelse quale protagonista di “Ottocento”, uno dei primi grandi successi seriali della Rai, dove l’attore romano interpreta il poeta e patriota Costantino Nigra, anima nascosta della diplomazia del regno sabaudo per innescare la seconda guerra d’indipendenza contro l’Austria. Il cinema esaltò la sua versatilità, da ruolo a fianco di Tomas Milian al complesso “I Delfini” di Citto Maselli del 1960 girato in un bianco e nero ad Ascoli Piceno. Nello stesso anno interpreta un bizzarro horror come “Seddok, l’erede di Satana” di Anton Giulio Majano.

Horror fantascientifico in bianco e nero ma anche “Era notte a Roma” di Roberto Rossellini e una commedia come “L’impiegato” di Gianni Puccini. Ancora tra il ’61 e il ’63 è nel cast di “Tiro al piccione” di Giuliano Montaldo e di un altro film sulla guerra come “Dieci italiani per un tedesco”, regia del dimenticato Filippo Walter Ratti, basato sui fatti delle Fosse Ardeatine. Non manca neppure nel kolossal “Caterina di Russia” per la regia di Umberto Lenzi. Dal ’63 al ’66 finalmente Hollywood si accorge di lui: Fantoni recita nel thriller “Intrigo a Stoccolma” in film storici come “Il colonnello Von Ryan” e in commedie per Blake Edwards. Poi ancora torna in Italia ed è nel cast dell’ultimo film di Julien Duvivier assieme ad Alain Delon, “Diabolicamente tua!”. Ha una parte anche nel bellissimo “Sacco e Vanzetti” di Giuliano Montaldo. L’Italia lo richiama sul palcoscenico: sotto la regia di Luca Ronconi con la moglie Valentina Fortunato, Giancarlo e Mattia Sbragia, Luigi Vannucchi e Ivo Garrani fonda la prima cooperativa teatrale, “Gli Associati”.

È il suo momento d’oro: con Strehler, Squarzina, Patroni Griffi messe in scena i testi classici di Shakespeare, Pirandello, Feydau, ma soprattutto le nuove opere di Harold Pinter, Arthur Miller, Tom Stoppard, Eugene O’Neill. Negli anni Ottanta con l’arrivo della tv commerciale la generazione di Fantoni, che aveva fatto la televisione, finisce in naftalina. Fantoni resiste a teatro sino al 1997 quando viene operato alla laringe e dice addio definitivamente alle scene dedicandosi a regia e produzioni di teatro. Con l’attività di doppiatore spicca la voce di Klaus Kinski in “Aguirre” di Herzog. Resterà nella memoria degli italiani per la sua eleganza senza tempo e per quel fascino latino che lo fece volare a Hollywood. “Il suo unico difetto (per così dire) era l’altruismo, dote decisamente inusuale per un attore. Pesava le parole e le dispensava con saggia parsimonia: sovente, nel lavoro e nella vita sociale, i suoi silenzi avevano più peso delle sue affermazioni” ha scritto il critico Nicola Fano. Il suo viso difficilmente potrà essere scordato.

Marco Ferrari