Gente d'Italia

Gianrico Tedeschi compie cent’anni

Cento anni, cinquanta film, altrettanti doppiati, centinaia di spettacoli teatrali e televisivi alle spalle: bel traguardo per Gianrico Tedeschi, classe 1920, ritiratosi dalle scene da quattro anni, abbarbicato nell’ex canonica nel paesino di Pettenasco, vicino al lago d’Orta, al confine tra Piemonte e Lombardia. Con la moglie e partner Marianella Lazlo oggi, lunedì 20 aprile festeggerà l’ambito traguardo del centenario. Complice il corona virus, non ci saranno le due figlie, Sveva, attrice, ed Enrica, docente universitaria di sociologia, avuta dal primo matrimonio. Milanese, quando era studente della facoltà di Magistero della Cattolica, poi laureatosi in pedagogia, fu chiamato alle armi come ufficiale e partecipò alla campagna di Grecia dove nel ’43 venne arrestato dai nazisti poiché non aderì alla Repubblica di Salò e per due anni fu in campo di concentramento a Lipsia, in Germania e in Polonia insieme ad altri 650.000 ufficiali. Nella prigionia conobbe un altro internato destinato a diventare celebre, Giovannino Guareschi e recitò per la prima volta nella parte di Enrico IV nell'omonima opera di Shakespeare. Fu liberato dagli scozzesi che arrivarono in sottana con le cornamuse. Dopo la guerra mondiale, nel 1947 si diplomò all'Accademia nazionale d'arte drammatica di Roma, debuttò a teatro con Giorgio Strehler ed entrò nella compagnia di prosa Maltagliati-Randone-Carraro. Negli anni successivi recitò in varie compagnie e in diversi teatri, tra i quali lo Stabile di Roma, cimentandosi anche nella rivista e nella commedia musicale con grandi registi come Garinei e Orazio Costa e attori come Paolo Panelli, Salvo Randone, Gualtiero Isnenghi, Francesco Mulè, Nino Manfredi, Rossella Falk, Anna Proclemer e Bice Valori. Si impose per il suo umorismo, la versatilità e le espressioni del suo volto, diventando uno degli attori che accompagnò la nascita della televisione italiana partecipando ai grandi sceneggiati dell’epoca (I giocatori, Tredici a tavola, La padrona di raggio di luna, La professione della signora Warren). I suoi personaggi televisivi più noti furono Marmeládov in "Delitto e castigo" (1963), Sorin ne "Il gabbiano" (1969) e Paolino in "Demetrio Pianelli" (1963). Sul palcoscenico scelse una linea "leggera": nel 1961 affiancò Bice Valori e Lina Volonghi nel varietà "Eva ed io" e nel 1977 partecipò a "Bambole, non c'è una lira". Per settant’anni in scena, tra teatro, cinema e televisione, interpretò anche Pantalone nell’"Arlecchino servitore dei due padroni" del’74 di Giorgio Strehler, l’ironico Peachum nell’"Opera da tre soldi" sempre di Strehler, e spettacoli di Visconti, Squarzina, Garinei e Giovannini. Un arco che va dal ‘47 al 2016 quando con Franco Branciaroli, Ugo Pagliai, Massimo Popolizio ha recitato l’ultimo spettacolo, dal titolo emblematico "Dipartita finale". "Ho 96 anni e mi diverto ancora a recitare", ha confessato nell’occasione. La sua storia è stata raccolta dalla figlia Enrica nel libro "Semplice, buttato via, moderno. Il teatro per la vita di Gianrico Tedeschi" (Edizioni Viella) incentrato sul suo animo giocoso e infantile. "Ho sempre avuto rispetto per i compagni di lavoro, – racconta Tedeschi, - mi hanno insegnato tutti qualcosa, la Magnani, Mastroianni, tutti. Non bisogna prendersi sul serio. L’inizio in prigionia mi ha dato il senso della comunità e l’idea che il teatro parli della società criticandola, mostrando il marcio con ironia, con la fiducia che si può cambiare, c’è sempre una via di riscatto. Ricordate Eduardo: niente fa ridere come il tragico". E non dimentica il periodo della guerra: "Sono diventato attore perché sono stato in campo di concentramento". E a quelle scelte antifasciste, civili e umane è rimasto fedele. Una sera guardando la tv e sentendo il capo della Lega Matteo Salvini ha freddamente commentato "L’è un bel pistola". E il suo marchio da sognatore? "Mi è venuto da bambino in quella casa di ringhiera con bagno esterno, due stanze per i genitori e tre figli, dove si studiava e si mangiava tutti nello stesso tavolo. Mio papà era appassionato di teatro, ci portava tutte le domeniche e io, che avevo sei anni, mi annoiavo da morire. Poi una volta mi ha portato al Teatro Dal Verme a vedere Ermete Zacconi in Spettri di Ibsen. La sua recitazione mi ha talmente impressionato che da lì ho cominciato ad andare volentieri a teatro". Da allora si è cucito addosso il ruolo surreale di "stralunato comico" alla Macario, alla Rascel, alla Tieri, alla Chiari e alla Campanini. La presenza di Tedeschi nel cinema è stata saltuaria, anche se compare in un certo numero di film per lo più di genere comico-leggero, non tali da offrirgli occasioni degne del suo talento. Tra le sue caratterizzazioni più riuscite ricordiamo quella ne "La lepre e la tartaruga" di Alessandro Blasetti e un episodio del film "Le quattro verità" del 1963. Oggi di fronte all’epidemia di corona virus apre le mani e sospira: "Siamo all’apocalisse della civiltà, ho provato dolore, impotenza, compassione ma mai disperazione".

di MARCO FERRARI

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