Gente d'Italia

Patate fritte surgelate, un paradosso: supermercati vuoti, raccolti al macero

Non si trovano più prodotti per l'igiene, a cominciare dai disinfettanti per le mani. E va bene, il motivo è sotto gli occhi di tutti. Ma contemporaneamente è sparita dai supermercati anche la carta igienica, una corsa all'acquisto che solo gli psicologi sono riusciti, forse, in parte, a spiegare perché di motivazione reali per mettersi in casa decine di rotoli proprio non ce n'erano. Così, un po' in tutti gli Stati Uniti, si era assistito anche alla beneficenza fatta di quella carta e in California, solo uno dei tanti casi estremi, c'era stato anche chi a un semaforo si era messo a fare l'elemosina ottenendo un bel successo, fatto di decine di rotoli che poi, a sua volta, ha ridistribuito ad altri bisognosi. Adesso, lo stesso, sta succedendo con le patate fritte surgelate. Secondo i dati Nielsen, nel periodo di quattro settimane che si è concluso il 4 aprile, la vendita di questo particolare prodotto ha visto un incremento del 78,6%. "Non ce ne sono più" dicono i consumatori, da Washington D.c. al Maryland, proseguendo poi negli altri stati. Ma perché questo assalto? Le patatine fritte surgelate, secondo gli esperti, rappresentano un cibo ideale durante una pandemia come quella del COVID-19: offrono infatti comfort, costano poco e si possono conservare per lu, in pratica l'ideale per le famiglie statunitensi abituate ai pasti veloci, i celeberrimi fast-food, dalle mense delle scuole alle caffetterie vicino al luogo di lavoro. Ma non è tuto così semplice come si potrebbe pensare, visto che mentre i consumatori non trovano patatine fritte, french fries come le chiamano gli americani, ci sono produttori come ad esempio Mike Pink nello stato di Washington, una azienda agricola, che è in dubbio se continuare la raccolta di patate, per un valore di milioni di dollari. La stessa azienda ha anche aggiunto che i produttori di patatine fritte hanno già annullato ordini per 1.000 acri di campi coltivati a patate, ogni acro rende 30 tonnellate di patate. Perdurando questa situazione, potrebbero andare tutte al macero, contribuendo alla distruzione di cibo negli Stati Uniti che sta già colpendo il settore lattiero-caseario. "Continuo nel mio investimento - si è chiesto Mark Pink in una intervista concessa alla Reuters - o cerco di ridurre al minimo la perdita? Un interrogativo semplicemente devastante". Ma come, se non si trovano poi nei supermercati vengono buttate? Il problema, l'ostacolo principale, sono la dimensione dei sacchi di patatine fritte surgelate pensati per cucine che producono decine, anzi centinaia di pasti al giorno. E se Ore-Ida del gruppo Kraft Heinz Co, principale produttore di patatine fritte per supermercati negli States, sta incrementando la produzione, quasi contemporaneamente McCain Foods, J.R. Simplot Co, Lamb Weston Holdings Inc, i principali fornitori dello stesso prodotto per fast food, grandi catene di ristoranti, stanno invece annullando le ordinazioni di patate. Infatti i loro congelatori sono stracolmi perché quattro ristoranti su dieci degli Stati Uniti sono chiusi, così come scuole, hotel, posti di lavoro, mentre i grandi fast-food stanno effettuando solo il drive-through. E si può anche aggiungere che la consegna a domicilio in questo momento rappresenta una quota minima per il grande mondo della ristorazione negli USA. Così visto l'incertezza, non si sa quando e nemmeno come si arriverà a una riapertura. Restano i dati: il National Potatoes Council ha reso noto che in giacenza ci sono dai $750 milioni a $1,3 miliardi di patate. "Si tratta di una grande sfida - ha sottolineato JP Frossard, analista del cibo per Rabobank - nessuno era preparato per questo perché nessuno poteva immaginare che accadesse qualcosa del genere". Il problema, che sembra insormontabile, è che la maggior parte degli operatori nel campo della ristorazione non ha connessioni con la vendita al dettaglio, i supermercati, ecco perché si sta assistendo a questa incoerenza: da una parte si elimina del cibo che dall'altra invece manca. Gli esperti spiegano che servirebbero mesi aggiungere un nuovo prodotto, creare un nuovo canale di distribuzione al dettaglio. "Sarebbe una impresa titanica reinstradare le forniture - ha spiegato Mark Allen CEO di International Foodservice Distributors Association - e con tutta l'incertezza sulla domanda esistente attualmente, si tratterebbe anche di un investimento difficile da giustificare".

ROBERTO ZANNI

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