Fase 2, non è un tana libera tutti ma insomma, manca poco, e già da ieri posso fare un salto fuori, una corsa all’aria aperta, gli occhi a un cielo senza finestre, un caloroso saluto alla portiera (quando mai?), riabbraccio… Però cos’è questo tarlo, questa specie di angoscia piccola piccola, una vocina petulante, mentre poso le chiavi e tolgo le scarpe? Dove vai, cosa esci a fare – insinua – magari ti becchi il virus proprio adesso che stavamo per scamparla… Gli psicologi conoscono bene le reazioni degli individui a lunghi periodi di isolamento forzato: può scattare la “sindrome del prigioniero”, detta anche della “capanna”.

Al dunque, quando cioè finalmente possiamo tornare a una prima forma di normalità, esitiamo tremebondi sulla soglia, ci coglie la paura di uscire. In genere succede quando sei stato bravo, ti sei adattato bene alla realtà imposta dal confinamento, al punto da trovare gli spazi e i tempi di una inedita normalità. Per questo è fonte di stress dover abbandonare questa routine faticosamente conquistata per gettarsi nel ritrovato tran tran quotidiano. Ne sanno qualcosa i lungodegenti in ospedale, o i carcerati: quando è il momento di essere dimessi o rilasciati qualcosa si inceppa. Dopo aver stabilito un perimetro di sicurezza, perché dovremmo abbandonarlo per un mondo di fuori che minaccia solo pericoli e incertezza?

Senza contare che ci siamo pure un po’ impigriti, un po’ dimenticando l’iniezione personale di energia che ci serve per affrontare il mondo e gli altri, dobbiamo ritrovare un po’ di tono muscolare, come gli atleti fermi per un lungo stop. La buona notizia è che, anche non ai livelli conclamati di sindrome per cui occorrerebbe supporto psicologico professionale, si tratta di una fase passeggera, temporanea. La quarantena obbligatoria dovuta all’emergenza sanitaria ha messo però a dura prova tutti.

In particolare i ragazzi. Loro hanno perso ogni punto di riferimento: gli amici, i compagni di scuola, la possibilità di uscire e fare sport. Una modifica del loro stile di vita così brusca da gettarli nello sconforto più profondo. Da un sondaggio su più di 9mila ragazzi fra 11 e 21, uno su tre ammette di non vedere un bel futuro davanti a sé. E non ha tutta questa voglia di uscire dal bozzolo a vedere come si mette per davvero là fuori.

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