Servito il pasticcio, adesso la domanda è, l’unica corretta in questa balorda situazione originata dal solido fetido mix politica-potere: chi pagherà il conto che potrebbe essere particolarmente salato? L’indiziato principale è il ministro Alfonso Bonafede, titolare del dicastero della Giustizia. Il Guardasigilli autore di una clamorosa retromarcia. E qui spontanea nasce un’altra domanda: chi ha esercitato pressione su di lui facendogli cambiare idea in ventiquattr'ore? E perché ha avallato, firmando il provvedimento, la scarcerazione di una folla di boss della camorra, della 'ndrangheta e della mafia, gratificati con i domiciliari in nome di un supposto presunto rischio di contagio da coronavirus? Contagiabili loro, la crema delle criminalità organizzata, condannati al 41 bis? Ovvero il carcere in isolamento, con la conseguente impossibilità di contatto con altri detenuti.

A proposito di retromarce, il ministro Bonafede dovrebbe spiegare perché ha avuto il ripensamento che ne mette in discussione l’autonomia e la fermezza nelle decisioni: la guida del Dap l’aveva proposta al magistrato Di Matteo, che si era preso un giorno per decidere. All’atto di comunicare il sì, la scena è cambiata da così a così, tutto è andato gambe all’aria. Di Matteo non è più idoneo all’alto incarico proposto dal ministro, idoneo invece per un incarico ministeriale di terzo piano, mai e poi mai ricoperto dal giudice Falcone, ucciso nell’attentato di Capaci. Un’inversione a U che ha dell’inverosimile. Di Matteo a capo del Dap non andava bene ai boss in galera al 41 bis. Fanno fede le intercettazioni telefoniche: il magistrato non gradito alla peggiore feccia. Quella rumorosa protesta nelle carceri, causa di morti e incendi, un’autentica rivolta, era probabilmente indirizzata verso un’unica direzione: se nominate Di Matteo capo del Dap non vi daremo pace, sarà guerra vera.

Dei primi 376 scarcerati, 150 hanno meno di cinquant’anni. Si raccontano di grandi feste con conseguenti vasti assembramenti di familiari e simpatizzati per celebrare l’evento liberatorio. I boss liberi, anche se ai domiciliari, figuriamoci la forza dell’impedimento. Liberi di fatto e di orchestrare, pilotare, dare ordini ai sottoposti. Dei 376, 196 sono in attesa di giudizio, accusati di reati di mafia e traffico di droga; 155 i condannati per mafia e droga finiti ai domiciliari. Un inconcepibile scandalo. Grottesca la corsa alla cancellazione del malfatto. La lista dei 376 beneficiati sottoposta al vaglio dei pubblici ministeri. "Rivalutare subito tutti i casi". Significa che urgeva un decreto sui boss scarcerati senza averne in generale il minimo diritto. Se ci fosse stato Di Matteo al vertice, nessun criminale sarebbe uscito dal carcere. Infatti, da quando Basentini è stato rimosso dall’incarico, un solo detenuto in sette giorni è stato scarcerato. Quantomeno incauto, il ministro sarà ascoltato domani in commissione giustizia della Camera. L’opposizione si batte per sfiduciarlo.

"Bonafede chiarisca o si dimetta". L’antimafia attende il ministro giovedì, secondo il calendario fissato dal presidente della commissione, Nicola Morra. Il pasticcio dei boss scarcerati è originato da una circolare emessa dall’allora capo del Dap, Basentini. Nel documento si segnalano i rischi sanitari col coronavirus per i detenuti affetti da una serie di patologie. Quelli di cui sopra, la crema, compresi nella lista dei 367 dimessi dalle carceri di massima sicurezza. Fior da fiore, il cassiere e custode dei segreti dei Casalesi, Giosuè Fioretto. Una tomba: si è sempre rifiutato di seguire la scelta di due esponenti di spicco del clan, Francesco Schiavone e Bernardo Cirillo, pentiti di camorra. Domenico Pepe è l’uomo del pizzo del potente clan di 'ndrangheta Piromalli. E Gino Bontempo, il ras dei fondi Ue nel Messinese. Carmela Gionta, del clan omonimo, zona d’operazione Torre Annunziata, arrestata per usura: una comandante. Poi, Antonio Romeo, Pino Candeloro, Francesco Ventrini e un’altra donna di camorra, Santa Mallardo, al centro di molteplici affari illeciti. In mezzo a rumori e sospetti, sabato notte il governo ha emanato un decreto dal contenuto che mira chiaramente a limitare i danni.

Ormai il pasticcio è fatto. "Sarà compito del magistrato di sorveglianza o del tribunale di sorveglianza, sentito il parere del procuratore distrettuale antimafia, a valutare entro quindici giorni e poi ogni mese la posizione dei mafiosi". Sorge intanto un dubbio: quanti boss si faranno trovare quando dovranno tornare nelle patrie galere al 41 bis? e quanti si saranno dati alla latitanza? Restiamo in attesa di notizie, soprattutto di numeri. Ma il ministro della Giustizia in questo caso ingiusta? Bonafede si difende così, ai lettori di Gente d’Italia il giudizio sull’operato del Guardasigilli. "Le scarcerazioni sono un insulto alle vittime, ai loro familiari e a tutti i cittadini che in questo momento stanno vivendo un momento di difficoltà. Da stasera 9 maggio c’è un decreto che mette ordine nella situazione". Firmato domenica sera dal presidente Mattarella, il decreto ha avuto un iter accidentato. Sul voto del Parlamento – fiducia o sfiducia su Bonafede – peseranno insieme la vicenda delle scarcerazioni fasulle e il caso Di Matteo. Il ministro è all’angolo.

Franco Esposito