Parte del riscatto pagato per la liberazione di Silvia Romano "servirà a comprare armi di cui abbiamo sempre più bisogno per portare avanti la jihad". Lo ha detto Ali Dehere, portavoce del gruppo terrorista Al Shabaab, nelle cui mani la giovane cooperante italiana è rimasta 18 mesi. "Il resto", continua il portavoce, "servirà a gestire il Paese: a pagare scuole, comprare cibo e medicine che distribuiamo al nostro popolo, a formare i poliziotti che mantengono l'ordine e fanno rispettare le leggi del Corano".

A suo dire, sono state "decine" le persone che hanno partecipato al rapimento di Silvia. "C'è una struttura in seno ad Al Shabaab", spiega, "che si occupa di trovare soldi per far funzionare l'organizzazione, la quale poi li ridistribuisce al popolo somalo. È questa struttura che gestisce le diverse fonti d'introiti". Dehere si barrica, però, dietro un "no comment" sia alla domanda sull'entità del riscatto sia sul perché il sequestro è durato così a lungo.

Poi ha assicurato che la conversione di Silvia Romano è avvenuta senza costrizioni, "perché ha sicuramente visto con i suoi occhi un mondo migliore di quello che conosceva in precedenza. Da quanto mi risulta Silvia Romano ha scelto l'Islam perché ha capito il valore della nostra religione dopo aver letto il Corano e pregato", ha aggiunto il portavoce, escludendo che la ragazza si sia convertita per opportunismo o perché vittima della sindrome di Stoccolma.

LA MAPPA DEL JIHADISMO IN AFRICA

"L'Africa è sempre stata la base più importante per il jihadismo internazionale" nonostante l'attenzione degli ultimi anni verso il Medio Oriente e l'Asia, in particolare dopo l'11 settembre. Lo spiega Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali (CeSI). "Basti ricordare che i primi grandi attentati di Al Qaeda, nel 1998, furono compiuti a Nairobi e a Dar es Salaam, Kenya e Tanzania. Non al Cairo o a Damasco", spiega. "Esistono inoltre più tipi di jihadismo nel Continente. Vi è una fascia verde subsahariana, se così la possiamo definire, che va dal Corno d'Africa all'Africa Occidentale: da al Shabaab, che si rifà ad Al Qaeda, al gruppo di Al Qaeda nel Maghreb, alle formazioni che hanno giurato fedeltà all'Isis fino alle decine di componenti locali, spesso formati da un miscuglio di criminalità e jihad".

I moti rivoluzionari della Primavera araba che dal 2011 hanno sconvolto la struttura politica di buona parte del Nord Africa hanno aperto le porte anche gruppi terroristici, per lo più affiliati al sedicente Stato Islamico guidato allora da Abu Bakr Al Baghdadi. Sia in Egitto che in Libia vi è stato il tentativo di creare un ramo locale dell'Isis. In Egitto i combattenti si erano concentrati nel deserto del Sinai (a cui si aggiungono Ansar al Islam e Jund Al Islam), mentre in Libia nell'area centrale del Fezzan. In Tunisia, invece, sono emerse alcune cellule legate alla Brigata Okba in Nafaa ad Ansar al Sharia e ai Soldati del Califfato.

Ben più radicata invece la presenza sia nel Corno d'Africa che nel Sahel. In Somalia sono attivi Al Shabaab e l'Isis mentre in Kenya i gruppi di Al Hijra e Al Muhajirun in East Africa. In Algeria, nell'area desertica del sud, è sempre più consolidata la presenza di Al Qaeda nel Maghreb attiva, con diversi diversi gruppi affiliati, anche in Mali, Burkina e Niger. In Nigeria il dominio del terrore è in mano a Boko Haram con qualche incursione del sedicente Stato islamico dell'Africa Occidentale. Nella Repubblica democratica del Congo è attivo il gruppo dello Stato islamico dell'Africa Centrale e in Mozambico I soldati del Califfato. Quasi tutti i gruppi per finanziarsi fanno affidamento sul rapimento di occidentali, come avvenuto in Kenya con la cooperante italiana, Silvia Romano.

"Teniamo presente che non ci sono soltanto ostaggi italiani, il rapimento a scopo di finanziamento riguarda tutti gli occidentali dove in alcune zone rappresentano una preda pregiata", spiega ancora Margelletti. "Ed è per questo che è importante muoversi in certi Paesi in maniera molto conscia e meno spontanea", aggiunge. "In questi caso è meglio finire nella mani di gruppi più organizzati che con bande di criminali improvvisati perché c'è il rischio che le cose degenerino in poco tempo", sottolinea. "I gruppi organizzati riescono a negoziare e, credetemi, tutti negoziano e pagano. Non sempre denaro ma a volte vi può essere uno scambio di prigionieri o vengono raggiunti accordi in altre forme".