Quando ero piccolo avevo paura di tante cose: della bacchetta della maestra (ancora si usava), delle punizioni dei miei genitori, di scivolare e screpolarmi le ginocchia. Poi sono cresciuto e ho continuato ad avere paura: di essere preso in giro, di non trovare la fidanzata, di perdere l’esame di maturitá e via di seguito fino all’Universitá.

Oggi ho ancora paura di tante cose. A volte dico - sul serio e scherzando - che io sono ragionevolmente onesto. Ma sono onesto non tanto per alti valori morali, ma per paura di finire sui giornali, di sentire vergogna in famiglia, di essere vituperato e punito dagli altri. La mia é ed era - pensandoci bene - una paura sana: una paura che mi ha permesso di evitare tante cose brutte. La mia paura antica é stata sempre unita a un obiettivo certo, concreto, preciso. Standomene al largo dal motivo della mia paura, la paura scompariva.

Oggi, in piena pandemia del coronavirus, vedo che milioni (ma che dico, miliardi) di persone, che hanno una paura astratta. Terrorizzati da tutto, finiscono per avere paura addirittura della propria paura. Non sto dicendo una sciocchezza, nè gioco con le parole. Il fenomeno della "paura della paura" è ben studiato dagli psicologi. E’ un meccanismo interno, per cui cominciamo a percepire paura in modo quasi ossessivo, mettendo in moto - come dice la Dott.ssa Moina Ferretti - "una serie di comportamenti protettivi e di evitamento, atti a scongiurare ogni possibile ed ipotetica fonte del pericolo". Ma in questo modo cadiamo in un circolo vizioso, che fa sí che l’individuo percepisca la realtá molto piú spaventosa di quello che é. Si pensa tutto il giorno alla paura e si finisce per moltiplicare ogni sensazione ad essa connessa. E’, per dirla semplice, una paura che si autoalimenta continuamente.

Questo a mio giudizio sta succedendo oggi, col rischio di mettere addirittura in pericolo il futuro dell’intera umanitá. La paura del virus diventa paranoica, ogni cosa é rapportata al COVID 19 e il nostro timore si proietta verso tutte le espressioni normali della vita in comunitá. La paura del coronavirus, ci porta alla paura di camminare per le strade, di lavorare, di inviare i ragazzini a scuola. Diventa una tale paura ossessiva, che ci fa dimenticare che il vero pericolo sta nel non camminare, nel non poter lavorare e nel non inviare i ragazzini a scuola. L’umanitá ha molto sofferto nella sua lunga storia: guerre, epidemie terribili, disastri ambientali di ogni tipo. Eppure mi sembra che mai si é mostrata in gionocchio come in questa epidemia, le cui conseguenze avranno danni fisici e psicologici provocati non dalla paura del virus, ma dalla "paura della paura del virus".

Un carissimo amico mi invia un articolo del giornalista e filosofo Marcello Veneziani, in cui leggo: siamo diventati "animali spaventati: niente messa, niente mostre e niente arte, niente cinema, niente concerti o sport; il terrore del contagio ha reso accettabile una vita priva di religione, arte e spirito. In due mesi siamo diventati come le bestie costrette a pensare solo alla sopravvivenza". Coincido in questa terribile affermazione, che riassume l’idea che oggi voglio trasmettere ai lettori. Qualcuno mi ha detto che le mie riflessioni sono molto oscure; ma chi l’ha detto é proprio un protagonista della "paura della paura".

Mi rifiuto di essere considerato un pessimista. Proprio perché sono un amante ottimista della vita cerco di scuotere le teste, affinché si possa intendere che é bene proteggersi (quando si teme qualcosa), ma entrare in un vortice di paura da cui poi non se ne esce, é il piú lesivo degli atteggiamenti. Mi piace ricordare che la peggiore strategia dei passeggeri del Titanic fu quella di chiudersi nelle loro cabine. A volte ho proprio la sensazione che il coronavirus porta a molti a questa scelta: chiudersi in cabina per scappare dalla paura, mentre il mondo affonda.

JUAN RASO