Recovery dipende da noi, da noi comunità e cittadini tutti dipende il tutto andrà, bene non si sa, ma magari un po’ aggiustato qua e là. Dipende da noi, noi lavoratori dipendenti, artigiani, imprenditori, lavoratori autonomi, negozianti, impiegati della Pubblica Amministrazione stipendiati delle aziende pubbliche e private, sindacati, partiti, associazioni di categoria, comitati e perfino chat di pubblica opinione e noi come tv e giornali e social e noi come professionisti affermati e gente disoccupata… Dipende da noi, non ci sono cosiddetti vincoli esterni. Dipende da noi, quindi il motivato pronostico è che non ce la faremo. Due soli esempi del perché e del come non ce la faremo, visto che dipende da noi. Noi siamo anche i prof, i docenti della scuola italiana e i loro sindacati. Che scioperano l’otto di giugno, scioperano l’ultimo giorno di scuola di un anno scolastico amputato. E già questa scelta non casuale simboleggia e racchiude l’arco dei valori, cause e interessi di quella parte di noi che sono gli insegnanti, meglio definibili come lavoratori della scuola.

Formazione, formazione, formazione comanda e consiglia la realtà. Formazione di saperi, competenze. Sistema della formazione scolastica capace di istruire e formare una classe dirigente e ragazzi e ragazze, giovani che sappiano di scienze, tecnologie, tecniche. E sappiano al più alto livello possibile e ad un livello medio alto. Quel che oggi nella scuola italiana non c’è, quel che oggi la scuola italiana non fa. Formazione, per la formazione scolastica e universitaria ci sono esplicitamente i miliardi del Recovery europeo. Dunque l’otto di giugno i sindacati scuola scioperano contro un governo che si oppone al miglioramento radicale della formazione? Contro un governo che non ha idee e progetti per una scuola più seria? Sciopero per poter insegnare di più e meglio? No, si sciopera contro un esame. Contro l’idea stessa di esame e concorso. Si sciopera per il diritto a essere assunti e messi in cattedra per anzianità di precariato. Si sciopera contro il principio stesso di esame e quindi di attitudine o meno all’insegnamento.

Il concorso per 23mila posti è una formalità, lo passerebbero tutti i candidati. Ma l’ideologia non sarebbe sazia, ideologia vuole che l’attitudine all’insegnamento e la conoscenza delle discipline sia niente altro che una graduatoria temporale. I sindacati scuola segnalano con il loro sciopero dell’otto di giugno anno scolastico del coronavirus (pessimo gusto sociale proclamarlo) che della formazione di se stessi non sanno che farsene. Anzi la ritengono invalutabile. Accessoria, inessenziale. Formazione è… posti in cattedra e cattedre per posti. Questa è l’unica formazione che i sindacati scuola intendono e sanno apprezzare. Formazione? Sindacati e prof traducono e declinano solo e soltanto in aumento di cattedre e stipendi. I bassi stipendi per il corpo insegnante sono diventati da tempo, oltre che una condizione umiliante, anche alibi e copertura per il poco o nulla in cambio della bassa retribuzione. Sindacati e corpo insegnante si sono adattati all’ambiente malsano e hanno espunto la formazione propria e dei discenti dalle loro mansioni.

Assecondati dai governi che nulla comprendono della scuola e poco vogliono sapere di chi nella scuola non porta voti elettorali, cioè studenti e alunni. Assecondati dalle famiglie che vogliono scuola facile facile che non stressi ed esponga per carità la fatica dello studio e, dio non voglia, l’anatema dell’insuccesso del brutto voto. Assecondati da tutti sindacati e docenti della scuola italiana segnalano che non ce la faremo perché vogliamo tenerci la scuola che c’è. Solo spendendoci di più, più spesa per tenerla immobile e costante nei suoi vizi, inefficienze e inutilità. Formazione nella scuola? Commissioni governative varie ipotizzano per settembre, per il prossimo anno scolastico tagli e diminuzioni dei programmi di studio. Meno italiano o matematica o inglese per far spazio ad attività all’aria aperta. Cioè meno scuola per scaricare di responsabilità Ministero, Provveditorati, Presidi e lavoratori della scuola vari dalle varie e diffuse incombenze di un anno scolastico ancora a relativo rischio contagio. Mettiamoli, teniamoli il più possibile all’aria…

Meno programmi di studio, non protesteranno certo alunni e genitori. L’ideale per una burocrazia espertissima e formatissima alla causa della propria sopravvivenza serena. L’unica Alta Scuola di super eccellenza sviluppatasi in Italia, quella della protezione del gruppo di appartenenza. Meno studio e meno formazione, il paese non protesterà. Debito, anzi debiti. Se dipende da noi, allora è scritto nei nostri debiti e risparmi che non ce la faremo. Il debito pubblico italiano si avvia a fine 2020 vero il 160 per cento del Pil. Primato o quasi, Grecia permettendo, in Europa. Sul podio dei debiti pubblici nel mondo. Al contrario il debito delle famiglie italiane era tra i più frugali e virtuosi: appena il 62 per cento del reddito disponibile a fronte di una media europea dl 95 per cento. E virtuoso anche il debito delle imprese: 68 per cento di un parametro 100 che vede media europea a quota 108 per cento.

Quindi italiani tutti che non da oggi e neanche da ieri ma da decenni caricano attraverso fisco, welfare e finanziamenti tutto il carico del debito sulla cassa pubblica e invece tengono il portafoglio privato in parsimoniosa sicurezza. Se c’è da spendere, spenda lo Stato. Debiti suoi, mica fatti nostri. Infatti a fronte di un debito pubblico pre covid pari a 2049 miliardi, pre covid 4373 miliardi di risparmio privato, cui aggiungere 1840 miliardi di investimenti finanziari privati (valori proprietà immobiliari esclusi). Paese povero abitato da ricchi, prima di covid 19: questo testimoniano le cifre. Recovery dipende da noi, quindi, se vogliamo restare, tornare come eravamo e restare come siamo, non ce la faremo.

Lucio Fero