Il ruolo di impedire o limitare l’insorgere delle più vaste situazioni conflittuali spetta alle forze politiche, quello di contenere il parassitismo individuale o dei piccoli gruppi compete alle istituzioni e alle burocrazie. Le istituzioni devono far rispettare le leggi per tempo e non dopo che il sistema è degenerato per loro stessa inattività (o, peggio ancora, grazie al loro apporto). In un sistema democratico la legittimazione delle istituzioni deriva unicamente dal consenso e dalla loro effettiva indipendenza ed efficienza. Per fare un esempio, l’apprezzamento nei confronti dell’autorità giudiziaria non dipende, come alcuni ritengono, dagli interventi per la moralizzazione dei rapporti politici ed economici delle élites (peraltro necessari), bensì dall’impegno dimostrato nel reprimere la piccola delinquenza. La stampa criticamente rileva che la quasi totalità delle denunce di scippi e furti, non dà luogo a condanne: in effetti la criminalità non dovrebbe trovare una astratta differenziazione classista e un diverso grado di sanzione con riguardo alle fasce sociali in cui si manifesta, dal momento che a ogni livello di ricchezza si trovano profittatori che vanno puniti e vittime che occorre tutelare.

L’OCCUPAZIONE DELLE ISTITUZIONI IN ITALIA DA PARTE DEI GRUPPI POLITICI

Molto spesso le organizzazioni politiche cercano di egemonizzare le istituzioni e le burocrazie. Per comprendere se un’istituzione è occupata, è sufficiente sentire le dichiarazioni dei leaders del gruppo egemone, che ne rivendicano strenuamente l’autonomia. Ad esempio, fino al 1970 il partito comunista italiano sosteneva che la magistratura rappresentava il potere padronale in quanto era particolarmente dura con gli operai; nella cultura di quel periodo si legittimavano le manifestazioni di piazza quale espressione della maggioranza del paese. Negli anni settanta, quando venivano arrestati i contestatori, il PCI protestava e la sinistra in generale prendeva posizione contro la magistratura reazionaria. Capanna, allora segretario di DP, alla Statale disponeva persino di un suo braccio armato (i cosiddetti katanga). Dopo la fase di evoluzione delle procure verso la sinistra, il PCI è diventato uno dei più strenui difensori dell’autonomia della magistratura. In Italia le forze politiche del dopoguerra avevano tentato di attuare la spartizione delle zone d’influenza all’interno delle forze armate per limitare il potere dei militari e bilanciare la loro dipendenza, alimentando così la tradizionale rivalità tra i singoli corpi; ancora oggi il ministero della difesa è organizzato mediante una costante suddivisione degli stati maggiori e delle direzioni generali tra marina, esercito ed aeronautica. La prassi di cambiare frequentemente i capi dell’esercito, della polizia, dei carabinieri, deriva dall’esigenza di impedire cristallizzazioni durevoli di potere nei gangli istituzionali più delicati. Tuttavia, la spartizione può determinare danni irreversibili.

In Italia, l’egemonia sul ministero degli interni da parte della DC, durata oltre 40 anni, aveva avuto come effetto compensativo l’occupazione di certi uffici della magistratura da parte del PCI e di frange dei servizi segreti da parte del PSI; le logge massoniche deviate avevano dato vita a centri di potere trasversali. Dal punto di vista dei rispettivi gruppi, si trattava di meccanismi necessari per contrastare il potere della fazione avversaria; la spartizione delle televisioni di stato all’epoca del consociativismo aveva creato i presupposti per la nascita delle TV di Berlusconi. In Italia la sinistra è riuscita a entrare in filo diretto con importanti settori della magistratura, ad egemonizzare in un certo senso la cultura, ma non ha avuto accesso nei gangli essenziali dell’arma dei carabinieri. La condizione che vede le istituzioni e le burocrazie alchimisticamente spartite tra i gruppi, ancorché la divisione sia rispettosa del peso di tutte le forze in campo, non può durare, perché le stesse istituzioni perdono credibilità e l’intero sistema risulta delegittimato. La fiducia verso un sistema politico discende dalla capacità dei governanti di convincere i cittadini che il bene comune non si identifica con quello di alcuni gruppi e che l’esercizio del potere non è strumentale per realizzare l’interesse di determinate categorie sociali.

Ogni burocrazia vive successive stagioni, e dopo il momento iniziale di tipo collaborativo, cerca di impadronirsi dell’istituzione da cui dipende: solo una classe politica forte può impedire o limitare i danni sociali che ne derivano. Infatti l’occupazione interna si verifica allorché gli addetti non sono efficacemente controllati. Il parlamentare o l’uomo di governo inidonei sono in qualche modo funzionali al dominio delle burocrazie. Quando manca una leadership politica, la burocrazia oltrepassa i limiti assegnati e finisce per assumere la direzione dell’amministrazione a ogni livello; in tal caso l’élite burocratica diviene il gruppo dominante e può appropriarsi del potere decisionale sottraendolo all’autorità ufficiale. Il funzionario ideale è l’uomo pronto ad eseguire coscientemente ed efficacemente qualsiasi cosa i suoi superiori decidano, a prescindere dalle proprie convinzioni personali. Molto spesso gli individui di vertice di certe istituzioni riescono a occupare determinati posti perché il loro comportamento è prevedibile e scontato e, di conseguenza, meno pericoloso. L’ufficio pubblico diretto da un mediocre sarà ben presto composto da incapaci chiamati da quel dirigente che non può certo circondarsi di collaboratori migliori di lui.

L’OCCUPAZIONE INTERNA DELLE ISTITUZIONI DA PARTE DELLE CORPORAZIONI

La sensazione diffusa dell’inutilità e dell’impreparazione degli uomini appartenenti alle burocrazie e alle istituzioni determinano, più che la stessa inefficienza delle leadership, l’immagine e la credibilità dello Stato. Le istituzioni e le burocrazie tendono a organizzarsi al fine di massimizzare i vantaggi che derivano dal loro ruolo e per divenire centri permanenti di potere autonomo. In nome dell’efficienza si formano gruppi di funzionari tra loro collegati che si consultano prima di assumere decisioni, pur non facendo parte del medesimo ufficio; queste unità di potere sono in grado di condizionare la realizzazione di qualsiasi progetto. Quando un gruppo trasversale si appropria di uffici pubblici, si viene a formare automaticamente un’entità autonoma in oggettivo contrasto con l’interesse generale. Del resto, non solo negli uffici pubblici, ma anche nelle grandi aziende i vicini si cercano: affinità di fede, ideologia, cultura, consentono aggregazioni spontanee che divengono nel tempo frequentazione e amicizia personale.

Questa dinamica dei gruppi può in parte spiegare, ad esempio, le cosiddette toghe rosse nella magistratura. Le varie minoranze che controllano le burocrazie finiscono per accordarsi, spartendosi i benefici possibili anzitutto nell’interesse delle minoranze stesse, dando così luogo a un vero e proprio sistema di potere. Si sta già delineando una suddivisione del mondo, non più su base etnica o religiosa, bensì tra controllori (individui detentori del potere sparsi nel pianeta a macchia di leopardo) e controllati (le grandi masse che subiscono questi individui senza pratiche tutele). Chi è in grado di fare favori ha titolo per riceverne a sua volta; si determinano così comportamenti emulativi che abbassano il livello etico della società civile. La prassi della raccomandazione è entrata a far parte del diritto universale delle genti e nessuna norma statuale potrà mai eliminarla completamente. Le carriere all’interno della stessa Magistratura, come ci conferma il caso Palamara, sono basate sulla tecnica della spartizione e della raccomandazione. Il problema centrale di ogni paese è quello di impedire che le istituzioni si tramutino in corporazioni al servizio di se stesse o che diventino preda di gruppi particolari per il controllo del potere pubblico a danno di altri gruppi.

LA RICHIESTA DI LEGGI E POTERI SPECIALI

Per assolvere al proprio ruolo con minor sforzo, le istituzioni e le burocrazie cercano di ottenere leggi e poteri speciali. Tale richiesta è da sempre giustificata in Italia con l’esigenza di combattere la criminalità di tipo mafioso, una motivazione che non è ritenuta sufficiente in altri paesi alle prese con analoghi problemi come la Francia, gli USA o il Giappone: la malavita pretende il pizzo a Palermo e Napoli, ma anche a Chicago, Londra, Tokyo, Marsiglia. Nell’eterna battaglia tra guardie e ladri, l’interesse del paese esige che le istituzioni rispettino le regole del gioco. Si consideri inoltre che i controllori chiederanno sempre poteri straordinari, in quanto ogni ufficio ha una visione del mondo limitata e considera il proprio ruolo come essenziale senza preoccuparsi affatto degli effetti indotti della propria attività. I poteri eccezionali sono richiesti sulla base di una affermazione vecchia quanto il mondo: gli onesti non hanno nulla da temere. Al contrario, il periodo dei poteri forti inizia con gli arresti facili e subito dopo ci si accorge che, per ottenere confessioni spontanee, è molto più comodo e meno costoso per la collettività strappare le unghie all’imputato.

Il sistema di diritto avrà fine quando la scienza scoprirà qualche sostanza che, una volta ingerita, colorerà di rosso le urine del colpevole. Fu sempre una gloria del sistema di leggi dell’antica Roma quella di proteggere l’individuo contro lo stato. La burocrazia è necessaria proprio perché garantisce un trattamento egualitario: tutti i membri del gruppo sono uguali di fronte al regolamento e i tecnici devono vigilare che il regolamento stesso venga rispettato. Un’attività resa in modo effettivamente paritario, in attuazione cioè dello spirito di servizio, non sarebbe affatto la più utile al gruppo e ai suoi membri: in ciò consiste il cosiddetto paradosso delle istituzioni. Il potere delle istituzioni sta nel loro cattivo funzionamento: se, ad esempio, le sentenze dei tribunali arrivassero in uno o due anni, i cittadini avrebbero minor propensione ad aggirare le leggi e si ridurrebbero gli spazi per l’esercizio delle ricorrenti supplenze. Per questa ragione gli uffici hanno maggior potere nei momenti in cui regna l’incertezza del diritto.

L’INCERTEZZA DEL DIRITTO

Le istituzioni devono anzitutto garantire la certezza del diritto, in caso contrario sono inutili, dannose e finiscono col trasformarsi in parassitarie: la causa principale dell’incertezza del diritto, nonostante le iniziative delle procure, è la sua disapplicazione sistematica. L’incertezza del diritto genera subalternità, legittima la prevaricazione e incentiva il servilismo e l’inefficienza. All’interno delle stesse burocrazie nessun funzionario si assume responsabilità dirette in presenza di un sistema di norme approssimativo o incerto. Il ministro Antonio Di Pietro aveva osservato che, per mancanza di leggi chiare e per paura dei giudici, i funzionari del ministero dei lavori pubblici si erano fatti venire la sindrome della penna: il ministro deve aver sentito l’intima esigenza di prendere in mano il timone del potere per far ripartire l’iter di approvazione delle opere pubbliche che l’attività di Mani pulite aveva di fatto interrotto. Un ulteriore esempio di apparente abuso delle istituzioni si può riscontrare ogni volta che un ufficio utilizza la forza pubblica per avviare sterminate indagini su persone o enti, facendo spendere allo stato somme enormi e distogliendo gli incaricati dalle rispettive funzioni caratteristiche. Deve far riflettere il record di ben 1.300 atti ostili prodotti dalle procure in due anni nei confronti del gruppo Fininvest.

I SENSI DI COLPA DEI CITTADINI COME METODO DI GOVERNO

In Italia le formazioni politiche che hanno tratto insperati vantaggi dall’azione giudiziaria vigilano oculatamente per evitare che tutto quanto è stato portato alla luce dalla indagini e nei processi venga in qualche modo assorbito dal sistema senza produrre durevoli effetti politicamente vantaggiosi per loro; tali organizzazioni hanno interesse a tenere alto il livello della contestazione e ad aumentare i sensi di colpa collettivi. I pubblici ministeri sono facilitati nel richiedere il rinvio a giudizio piuttosto che l’archiviazione soprattutto durante i cicli storici in cui la loro azione riceve l’apparente consenso dell’opinione pubblica. Tuttavia, arriva sempre un momento a partire dal quale la stessa opinione pubblica chiede a gran voce, come atto liberatorio, i provvedimenti di amnistia che cancellino il passato e consentano di lavorare serenamente per costruire i futuri destini del paese.

Giorgio Oldoini