Quindici milioni di euro nascosti in ventotto scatoloni. Millecento chili di hashish sequestrati su uno yacht sbarcato a Rapallo, in Liguria. Un sequestro record. Il tesoro ha compiuto un viaggio lussuoso a bordo dello yacht del boss Giuseppe Cauchi. Il carico milionario sarebbe servito soprattutto a servire la piazza di Milano.

Secondo il servizio della Direzione centrale dei servizi antidroga, il capoluogo lombardo consuma 6mila 411 chili di droga, di cui 4mila di hashish. Il maxi sequestro è servito anche ai fini della ricostruzione della rotta storica della droga. Buona parte dell’hashish che arriva in Europa viene dal Marocco attraverso imbarcazioni veloci chiamante "narcolanchas". Passato lo stretto di Gibilterra, approdano in Andalusia. Soprattutto nella linea de la Concpetiòn. Il clan locali provvedono a tutto, dal trasporto allo sbarco. Il deposito e la partenza verso i mercati del Nord.

L’hashish di cui si parla è prodotto in Marocco, nella valle di Ketama, vicino a Tangeri. Tre tonnellate l’anno vengono acquistate da uomini di fiducia dei narcotrafficanti, al prezzo di 2,4 milioni di euro in contanti. Il trasporto via mare avviene sugli yacht. Lo sbarco al porto di Bocca di Magro. Il trasporto a Milano con mezzi trascinati da carri attrezzi. I box auto funzionano (sarebbe più corretto dire funzionavano) come nascondigli realizzati con una finta parete in cartongesso. Negli ambienti investigativi si dice che viene scoperto soltanto un decimo della droga che arriva sul territorio. Originario di Scicli, Ragusa, Massimiliano Cauchi è uno dei più importanti narcotrafficanti operativi sulla piazza di Milano. Finito in carcere la settimana scorsa, è titolare di una storia emblematica. Anzi di più.

Fino al 2018, il suo hashish veniva acquistato in un unico carico di tre tonnellate all’anno, Quei 2,4 milioni pagati in contanti. Caricato su yacht di lusso affidati a skipper italiani, l’hashish veniva veicolato fino ai porti della Costa Ligure. Portato a Milano con il sistema sopra descritto, e nascosto con la tecnica dell’intercapedine, veniva imboscato e poi affidato a una "piccola rete di grossi acquirenti". Comprata a 300 euro al chilo, la merce veniva rivenduta a 2.000 euro.

Il rincaro sistematico, di prassi, raggiungeva il 566 per cento. Persone di assoluta fiducia provvedevano allo spaccio al dettaglio. Ma quello, si dice, non era affare di Massimiliano Cauchi, abituato a volare in esclusiva incontro a business di ben altro tenore. Il boss si sporcava le mani solo per solo affari a sei zero. Ma almeno in questa circostanza i poliziotti della Mobile diretti da Marco Calì sono intervenuti in maniera tempestiva. Si è svolto tutto alla luce del sole. Gli agenti hanno fatto irruzione nella camera da letto di una casa di Giuseppe Cauchi, sessantanove anni, il padre del narcotrafficante, registrato come inquilino di un appartamento preso in affitto al numero 33 di via del Casoretto. Dove hanno trovato quindici milioni di euro. Il sequestro in contanti più ingente della Storia d’Italia. I soldi erano lì, chiusi in ventotto scatoloni, tutti rigorosamente uguali, in una intercapedine realizzata dal muratore di fiducia del gruppo criminale, Carmelo Pennisi, finito ai domiciliari, al servizio del boss Cauchi da almeno due anni. Somme messe da parte destinate alla creazione di una sorta di robusto Tfr in chiave futuro. Quando i traffici del boss e i problemi giudiziari di Cauchi si sarebbero esauriti. Soldi quindi tanti. Proprio tanti a giustificare l’ambizione di Giuseppe Cauchi: "sistemare i suoi figli per otto generazioni", raccontava ai giudici la compagna di Cuchi.

Il boss pensava sempre di usarli per aprire un ristorante o di trasportare i soldi in Sagna con i buoni uffici di un fantomatico operatore cinese. Cauchi era stato arrestato nell’ottobre del 2019 per quei 1.100 chili di hashish arrivati a Rapallo sullo yacht "Elizabeth G". E condannato con rito abbreviato a diciassette anni e quattro mesi dal Tribunale di Bologna. Era ai domiciliari a casa della madre, convinto che il suo tesoro fosse al sicuro. Nell’indagine della Dda di Milano guidata da Alessandro Dolci, Giuseppe Cauchi è stato tradito dalle parole dell’ex socio, ora pentito. "Le chiacchiere giravano nell’ambiente". Ma anche da intercettazioni e ascolti durati però poco: Cauchi ha scoperto l’esistenza di una cimice in conseguenza della rottura e della riparazione di un tubo in cucina. Un sequestro che impone doverose riflessioni in un momento come questo, di forte crisi. Una simile cospicua disponibilità di denaro cash è destabilizzante rispetto ai rapporti economici legali. Normali le preoccupazioni: in un periodo di difficoltà estreme come questo la criminalità organizzata può comprare di tutto. Quei soldi, quindici milioni di euro, sono ora destinati ad arricchire il Fondo unico della giustizia.

Franco Esposito