Il Covid-19 ha sconvolto le nostre vite e il nostro lavoro. Non sto certo a raccontarvi quanto siano cambiate le nostre abitudini negli ultimi tre o quattro mesi, né quanta attivitá economica si sia distrutta o sia entrata in una fase di ibernazione, da cui non si sa bene come uscirne. Non possiamo fare previsioni sul futuro dei nostri paesi e del nostro lavoro; non sappiamo cosa sará la "nuova normalitá", ma certamente molte cose cambieranno: viaggeremo meno, saremo timorosi su tutto e la maggior parte di noi - probabilmente - vedrá ridotte le proprie entrate. Se in questi giorni ci stiamo abituando alla emergenza sanitaria, nei prossimi anni dovremo adeguarci alla crisi mondiale delle economie. E naturalmente a pagare le conseguenze più care della crisi saranno sempre i soggetti più deboli.

Il principale effetto della pandemia é - non a caso - l’estensione della disoccupazione, che ha come riflesso naturale la diminuzione dei salari. Con una disoccupazione dilagante, si é disposti ad accettare qualsiasi lavoro a condizioni inferiori a quelle di piena occupazione. Gli Stati peraltro assumono sul fronte "mercato del lavoro" una certa neutralitá, che in realtá non é tale: uno Stato neutrale in questioni salariali é uno Stato che prende la posizione del piú forte - l’imprenditore -, lasciando alle leggi del mercato la determinazione del "quantum" della retribuzione. Ma non si tratta solo degli stipendi dei lavoratori degli uffici e delle fabbriche; i disoccupati - proprio como strategia di sopravvivenza - accettano qualsiasi lavoro e quindi vanno a ingrossare le file del lavoro in nero o informale.

Dico spesso che il mondo del lavoro risponde a regole ecologiche. Mi piace parlare di "ecosistema del lavoro", per far capire che - come nel caso dell’ecologia ambientale - qualsiasi modificazione negativa del sistema, pregiudica tutti i suoi componenti. Cerco di spiegarmi meglio. Se decidessi eliminare le api, perché ho paura del loro terribile pungiglione, sicuramente arrecherei un danno notevole alle coltivazioni per via della soppressione della funzione di impollinazione delle coltivazioni. Non avrei punture da curare, ma nemmeno saprei come sfamarmi. Infatti gli organismi viventi interagiscono in ecosistemi dinamici, per cui la scomparsa di una specie può avere un impatto di vasta portata su altre specie o sulla produzione della catena alimentare. Nei periodi di grandi crisi (e questa probabilmente é la crisi piú complessa e globale a partire dalla seconda guerra mondiale), si verificano due situazioni: da una parte vi sono coloro che subiscono l’impatto diretto della crisi; ma dall’altra, alcuni settori produttivi cadono nella tentazione di approfittare le circostanze per licenziare il personale o ridurre salari e benefici.

Ma attenzione, perché la caduta generale delle entrate dei lavoratori provocherá la caduta del consumo e quindi, quello che il datore di lavoro credeva guadagnare nella riduzione dei salari, probabilmente lo perderá nella minore vendita dei suoi prodotti. Quindi é importante proprio nei momenti di crisi un ruolo attivo - e non neutro - degli Stati per equilibrare l’ecosistema del lavoro: salari ridotti porteranno a una caduta del consumo, e quindi alla diminuzione di contributi e tasse da pagare allo stesso Stato. Facciamo anche noi parte di un ecosistema dinamico, per cui il danno a una delle parti sociali, finirá per danneggiare tutti. Questo lo aveva ben capito un economista britannico del secolo scorso, oggi di moda: John Maynard Keynes. In un suo celebre libro - "Teoría Generale dell’occupazione, dell’interessa e della moneta", Keynes diceva in parole semplici che le entrate totali degli abitanti di un paese sono uguali al consumo e all’investimento. In epoche di crisi, si producono situazioni di disoccupazione e di capacitá produttiva oziosa: per modificare tale situazione é necessario pertanto promuovere la spesa pubblica per creare occupazione e, sostenendo i salari, stimolare il consumo.

Durante la terribile crisi degli anni ’30, che seguí al venerdí nero del 1929, dicono che il Presidente Roosevelt chiamó Keynes per chiedergli consiglio su come affrontare la complessa situazione. Keynes gli rispose che doveva contrattare operai per aprire buche nei giardini della Casa Bianca. Por aggiunse: Inoltre il giorno dopo, lei dovrá contrattare altri operai affinché coprano quelle buche. In realtá le buche non sono importanti; ció che importa é che vi sia gente che lavori e riceva un salario, per poter acquistare alimenti, scarpe, vestiti. Tutto ció aiuterá a sostenere l’economia, Signor Presidente". Il consiglio di Keynes sembrava assurdo, eppure contribui alla costruzione del "New Deal" di Roosevelt a alla soluzione della crisi. A volte uno sguardo verso il passato, ci insegna a operare verso il futuro.

JUAN RASO