Se gli uomini sono maggiormente colpiti dal Covid-19 per numero di contagi e decessi, sono invece le donne a pagare il prezzo più alto degli "effetti collaterali" della pandemia, col rischio di vedere cancellate le conquiste degli ultimi decenni in termini di diritti. Lo rivela un rapporto Onu, che documenta l’impatto del coronavirus sulle donne.

Diffuso in piena crisi sanitaria, è per questo passato quasi del tutto inosservato. A 25 anni dal lancio della piattaforma d’azione di Pechino per la parità di genere, la pandemia ha segnato una battuta d'arresto senza precedenti per la condizione femminile, rendendo ragazze e donne maggiormente vulnerabili sul piano economico, sanitario e sociale, oltre ad aggravare ulteriormente le diseguaglianze tra i due sessi.

COSA DICE IL RAPPORTO

L’impatto economico e lavorativo dell’emergenza sanitaria globale sarà devastante per tutti, ma senz'altro colpirà con più forza le donne, spiega il rapporto, visto che solitamente hanno meno sicurezze professionali, guadagnano e risparmiano meno rispetto agli uomini. Nel settore informale, quello più affetto dai lockdown, le lavoratrici donne sono più numerose, così come nei settori di attività pesantemente danneggiati dalla pandemia, quale turismo, servizi, commercio. Un quadro ancora più cupo quello dei paesi in via di sviluppo, in cui al 70% le donne vengono impiegate nel settore informale, come minori tutele economiche, salariali e sanitarie. Non partecipando alla forza lavoro formale, una percentuale molto alta di lavoratrici si vede negato l’accesso ad assicurazione sanitaria, maternità, malattia pagata, sussidi di disoccupazione e pensioni.

Accade all’80% delle donne in Asia impiegate nel settore informale in attività non agricole, al 74% per quelle in Africa subsahariana e al 54% a quante lavorano in America Latina e nei Caraibi: quelle che pagheranno il prezzo più alto della pandemia. Anche guardando ai numeri, il rapporto Onu contiene una serie di dati poco confortanti: in tutto sono 740 milioni le donne che lavorano nell’economia sommersa, spesso in condizioni di sfruttamento.

Nell’economia "ufficiale" il gap di genere è schiacciante: nella fascia di età compresa tra i 25 e i 54 anni, la forza lavoro è composta per il 94% da uomini e 63% da donne. Un altro triste primato: per ogni 100 uomini che vivono in condizioni di povertà estrema, ci sono 125 donne. In media, a parità di ruolo, una donna guadagna in media il 16% in meno rispetto ad un collega, e in alcuni casi fino al 35%. Mentre il 72% degli uomini ha un conto corrente in banca, lo stesso vale solo per 65% delle donne. Oltre ai milioni di posti di lavoro persi, per le donne la pandemia ha significato un aumento esponenziale di ore non retribuite da dedicare alla cura della famiglia, dei bambini e degli anziani.

In America Latina il valore del lavoro femminile non pagato rappresenta circa il 15,2% del Pil in Ecuador e fino al 25,3% di quello del Costa Rica. Sono state loro in prima linea nell’assistenza ai malati all’interno del proprio nucleo famigliare, nell’accompagno dei bambini nella didattica a distanza a causa della chiusura delle scuole, sostituendosi a maestre ed insegnanti, sia nell’apprendimento che nel gioco. In media ogni giorno una donna dedica 4,7 ore ai lavori domestici contro 1,7 da parte dell’uomo. Il contributo femminile alle cure mediche e sanitarie casalinghe rappresenta 2,35% del Pil globale, circa 1,5 trilioni di dollari mentre tutte le altre cure prestate all’interno della propria casa hanno un valore stimato di 11 trilioni di dollari.

Particolarmente penalizzate dalla chiusura delle scuole sono state bambine ed adolescenti, maggiormente coinvolte nelle faccende casalinghe rispetto ai loro coetanei maschi, a maggior ragione se vivono in paesi in via di sviluppo, in villaggi remoti e rurali, oppure in condizioni di disabilità. L’Onu avverte che molte di loro rischiano di lasciare la scuola alla fine della pandemia.

LA QUESTIONE DELLE VIOLENZE

Un'altra grave conseguenza sulle donne del lockdown è stato l’aumento vertiginoso – una media globale oltre il 25% - delle violenze morali e fisiche inflitte dai propri partner e parenti di sesso maschile. Secondo il rapporto redatto dall’Onu, in questi mesi sono 243 milioni le donne che hanno subito violenze fisiche e/o sessuali. "Quasi una donna su cinque in tutto il mondo ha subito violenze nell'ultimo anno. Molte sono ancora costrette a casa con i loro maltrattatori e non possono accedere ai servizi di assistenza, che soffrono di tagli e restrizioni" ha dichiarato il Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres. Le professioni sanitarie - Infine, anche sul versante delle professioni sanitarie le donne, di ogni fascia di età, hanno patito maggiormente le conseguenze del coronavirus: in prima linea nella gestione dell’emergenza, rappresentano il 70% dei lavoratori del settore (infermiere, ostetriche, ecc). In questa pandemia anche le operatrici sanitarie dei Paesi industrializzati stanno pagando un tributo altissimo: in Italia più di 10.600 tra dottori e infermieri hanno contratto il Covid-19, donne nel 66% dei casi, mentre in Spagna sono state il 72% di tutto il personale medico-sanitario colpito dal virus, più di 7.300. In alcuni Paesi hanno avuto minore accesso ai dispositivi di protezione per uno svolgimento più sicuro del proprio incarico professionale.

L’emergenza Covid-19 ha poi ulteriormente complicato o cancellato l’accesso di ragazze e donne a cure sanitarie di routine, tra cui vaccini, contraccettivi, medicinali di base, indebolendo la loro posizione anche all’atto del parto e dell’assistenza post partum, causando un aumento della mortalità materna ed infantile oltre ad un rischio maggiore di gravidanze indesiderate e contagi da malattie sessualmente trasmissibili. Secondo l’Onu, durante la pandemia in America Latina e nei Caraibi circa 18 milioni di donne perderanno l’accesso a contraccettivi moderni.

Nel rapporto l’Onu individua tre livelli di intervento per potenziare la risposta nazionale ed internazionale dopo la crisi Covid, invitando i leader politici a non ripetere le politiche passate ma a sfruttare il momento per ricostruire società più paritarie, inclusive e resilienti. Tra i settori di intervento per invertire la rotta c’è l’ampliamento delle reti di sicurezza sociale, l’accesso delle donne a crediti e prestiti, la loro inclusione nei piani di rilancio e sviluppo socio-economici su misura, la riduzione delle iniquità retributive sul lavoro e la creazione di una nuova economia di assistenza inclusiva che funzioni per tutti.