Ha festeggiato i suoi primi 80 anni nella casa di pietra di Pavana, tra i monti dell'Appennino Tosco-Emiliano. Un compleanno in famiglia, come avviene da qualche anno a questa parte, anche a causa dell'emergenza Covid-19. "Io sono nato 4 giorni dopo l'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale e oggi sono il primo Guccini in famiglia a essere arrivato a compiere 80 anni. Ho ricevuto tante telefonate dai miei amici, ho avvertito davvero un grande affetto e non posso che esserne lusingato.

Festeggiamenti? Nessuno in particolare nella mia Pavana, dove passerò anche l'estate. D'altronde il momento che stiamo vivendo, questa assurda pandemia, non ci permette di fare diversamente" ha dichiarato Francesco Guccini parlando del suo ottantesimo compleanno. Cantautore e scrittore di successo (nella cinquina finalista del Premio Campiello con "Tralummescuro"), occasionalmente attore, Guccini è stato anche docente di lingua italiana presso la sede bolognese dell'università americana "Dickinson College" e giovane giornalista per la "Gazzetta di Modena".

Un omaggio di Rai 5 lo ha colto con la famiglia e gli amici nella casa che fu dei nonni a Pavana, frazione di Sambuca Pistoiese, a cavallo tra Toscana ed Emilia. Tanti i messaggi e le iniziative sui social network per celebrare il compleanno del cantautore divenuto leggenda per tante generazioni di fan, da quelli di una certa età ai giovanissimi. Da sette anni, Guccini si è congedato dal panorama musicale italiano ma la sua voce continua a farsi sentire e le sue prese di posizione a far discutere. Come la sua confessione di non aver mai votato Pci, ma Psi, avendo tendenze anarchiche contrarie allo stalinismo. Nato a Modena il 14 giugno 1940, Guccini ha trascorso l'infanzia sull'Appennino pistoiese nel paese dei nonni paterni. Nel 1966 l'esordio nel mondo della musica con i testi scritti per il gruppo dei Nomadi e per L'Equipe 84 e persino per Caterina Caselli. Il primo album l'anno successivo: "FolkBeat n°1", poi, nei '70, i successi come "Via Paolo Fabbri 43", "Amerigo", "Metropolis", "Signora Bovary", "D'amore di morte e di altre sciocchezze". Nel 2012, proprio a Pavana, è stato registrato l'album "L'Ultima Thule". E’ uscito dal suo guscio famigliare solo a ottobre scorso per il lancio della copertina dell'album "Note di viaggio - Venite avanti", la raccolta dei suoi brani più celebri interpretati da grandi artisti della musica italiana, dedicata alla situazione dei migranti. In occasione del suo compleanno Guccini ha pubblicato presso l’editore Giunti il libro "Non so che viso avesse - Quasi un'autobiografia". "Sono nato nella prima metà del secolo scorso; ho scritto e cantato canzoni; ho pubblicato romanzi e racconti e sono, fortunatamente per me, ancora vivo" ha scritto. "Nel mio atto di nascita (recuperato in occasione del mio primo matrimonio) - aggiunge - è riportato che Francesco Antonio Guccini, figlio di Ferruccio e di Prandi Ester, è di "razza ariana".

Questo significa che quando Francesco Antonio è nato erano in vigore leggi razziali e si viveva sotto una dittatura; se non eri di "razza ariana" eri un cittadino di serie B, non avevi diritti civili, non potevi esercitare professioni liberali, insegnare nelle scuole pubbliche né tantomeno frequentare quelle stesse scuole. Il padre (sposato da poco più di un anno) di quel Francesco Antonio fu spedito a fare una guerra non voluta né desiderata, dalla quale sarebbe (fortunatamente) ritornato dopo cinque anni, due dei quali trascorsi in un campo di concentramento tedesco. E un padre che torna dalla prigionia non può essere un genitore come ce ne sono tanti adesso, in tempo di pace; è necessariamente amoroso ma anche molto severo, non può permettere che il figlio lasci il cibo nel piatto (lui che ha patito per anni la fame), non hai mai dato il bacio della buona notte, come si vede fare alla televisione, non ha mai festeggiato un compleanno, che passava del tutto inosservato, e via di questo genere".

E ancora scrive: "Nella mia biografia si parla, anche e vagamente, di libri e biblioteche. Sì, si accenna a questo ma sarebbe impossibile rievocare l'emozione, il sottile piacere, quasi la frenesia, che ogni nuovo libro mi dava, fin dal primo in assoluto della mia vita, sul quale ho imparato a leggere, quel Pinocchio regalatomi da chissà chi, amato e tragicamente perduto in uno degli innumerevoli traslochi (che andrebbero raccontati, anche questi, a parte) a lungo rimpianto e poi finalmente riacquistato, riletto, e forse capito, da adulto. E il gusto per le letture infantili e adolescenziali, i Salgari, i Verne e poi, da studente, la religione dei libri, che altri ti suggerivano o che tu suggerivi ad altri: narrativa, con la predilezione per i romanzi umoristici, per i gialli e per la fantascienza, poesia, storia, linguistica. La scoperta di un autore faceva sì che andassi alla ricerca di tutto quello che quell'autore aveva scritto. E la mania per i fumetti, ‘letteratura disegnatà che mio padre, quando ero ragazzo, mi proibiva, perché mi avrebbe disabituato alla lettura, pensa te. E il leggere dappertutto, perché se leggi non ti annoi mai: alla scrivania, a letto, in bagno, in treno, da militare, con la pila sotto le coperte, aspettando l'autobus, dal medico, sulla spiaggia.

Ovunque. E il piacere di possederli, i libri: dalla prima decina, accatastata nell'armadio assieme alla biancheria, alle centinaia impilati dentro a scaffali sempre troppo piccoli per contenerli tutti, ai tanti accumulati sui tavoli, per terra, quasi impossibili da trovare quando li cerchi perché ne avresti bisogno, e finisci per ricomprarli anche due, tre volte. Confesso di aver rubato dei libri, per necessità, o meglio, di non aver restituito dei prestiti; quattro volte mi è successo, perché non avrei più saputo dove recuperare i volumi, ma altrettante volte è capitato a me. Poi le canzoni. Non parlo quasi delle canzoni, lascio che siano altri a farlo. Perché come si fa a raccontare di lampi improvvisi, di sensazioni fugaci, dell'affannosa e pure eccitante ricerca di parole, che siano quelle giuste, di rime che si incastrino nei versi, di donne che mi hanno amato e che io ho amato? Le canzoni si raccontano da sole, e basta".

di MARCO FERRARI