L’inglese Matthew Carter, nato a Londra nel 1937, è uno dei più influenti disegnatori di caratteri tipografici al mondo. In particolare è un pioniere nell’adattamento degli antichi caratteri in piombo all’uso digitale. Già negli anni Novanta ha disegnato per la Microsoft gli "screen fonts" Verdana, Georgia e Tahoma: tra i caratteri più usati in assoluto dalla popolazione terrestre. In seguito ha creato il carattere di stampa particolare utilizzato dal Washington Post (chiamato "Postoni", per "Post-Bodoni"), ed altri ancora per il giornale spagnolo El Pais e per Le Monde, Sports Illustrated, Wired, Time Magazine, Newsweek, ecc.Sette dei suoi font - Bell Centennial, Big Caslon, ITC Galliard, Mantinia, Miller, Verdana e Walker - sono nella collezione permanente del MoMA, il Museo di Arte Moderna di New York.

Carter è, per dire, un dio assoluto nel suo settore. Nel 2001 ha cominciato a studiare i caratteri utilizzati per le iscrizioni sulle strutture monumentali: palazzi governativi, chiese, grandi biblioteche e così via. Queste, nell’intento dei committenti e dei loro architetti, dovrebbero essere scritte "eterne" - o quasi. Non è così. Inevitabilmente vengono erose e perfino cancellate dalle intemperie, dall’aggiunta di nuove iscrizioni nate in seguito a rovesciamenti politici, dai vandali o anche dal semplice passare del tempo. In base a queste considerazioni, Carter ha ritenuto di accelerare il processo di degrado, rendendo le scritte utili per ogni occasione con un font "auto-vandalizzante".

"Ciascun carattere - scrive - è associato a graffiti che vanno a deturpare le lettere vicine. A seconda del testo, queste poi vanno ad erodere sia le maiuscole sottostanti sia altri graffiti ancora, creando dei segni leggibili singolarmente ma dal significato oscuro nel loro insieme". Il font - nella foto- l’ha chiamato "DeFace", un gioco di parole in inglese. "Deface"vuol dire "deturpare", ma una "face" - come nella parola "typeface" - è anche la "faccia" di un carattere di stampa.

di JAMES HANSEN