La vicenda del Covid-19, pur nella brevità del suo svolgimento, ha inciso sensibilmente nel tessuto politico e istituzionale del nostro Paese tanto da rappresentare un banco di prova per la tenuta del nostro assetto costituzionale sia con riferimento al sistema delle libertà che con riferimento al funzionamento della forma di governo. I problemi di natura costituzionale che sono emersi nel corso di tale vicenda hanno investito in particolare tre profili riferibili: a) alla distribuzione tra Parlamento e Governo dei poteri di intervento negli stati di emergenza; b) alla compressione dei diritti fondamentali di libertà nel corso di tali stati; c) alla ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni nelle emergenze sanitarie.

La Costituzione italiana, mentre non prevede una disciplina specifica per gli "stati di emergenza", nell’art. 77, secondo comma, attribuisce al Governo il potere di adottare "in casi straordinaria di necessità ed urgenza" provvedimenti provvisori con forza di legge (c.d. "decreti-legge) che le Camere devono convertire in legge entro 60 giorni, pena la perdita della loro efficacia fin dall’inizio in caso di mancata conversione. Tale disciplina è stata di recente integrata al livello della legislazione ordinaria dal Codice della protezione civile (D.lgs. 2 gennaio 2018 n. 1) dove si affida al Consiglio dei ministri il potere di deliberare gli stati di emergenza di rilievo nazionale determinandone la durata e l’estensione territoriale (art. 7, primo comma, lett. c).

Ed è proprio questo potere (di natura amministrativa) che è stato utilizzato dal Governo per dichiarare in data 31 gennaio 2020 l’emergenza sanitaria derivante dalla pandemia da Covid-19, dichiarazione cui ha fatto seguito nei mesi seguenti una serie molto nutrita di provvedimenti sia legislativi che amministrativi (decreti-legge; decreti del Presidente del Consiglio dei ministri; decreti e ordinanze di vari soggetti dell’amministrazione centrale e periferica) che hanno progressivamente tracciato il quadro delle prescrizioni dirette a regolare l’emergenza ai fini del contenimento della pandemia.

Alcune di tali prescrizioni, specialmente nella fase iniziale, hanno inciso sensibilmente nell’esercizio di diritti fondamentali fissati dalla Costituzione, quali le libertà di riunione, di circolazione, di esercizio della propria fede religiosa, di attività economica. Sappiamo che per tali diritti la Costituzione prevede che la loro limitazione possa essere adottata per la difesa di interessi espressamente richiamati dalla stessa costituzione (come la sanità e la sicurezza), ma soltanto mediante l’adozione di una legge o di un atto di valore equivalente (principio della c.d. "riserva di legge").

Senonché nel corso della pandemia l’intreccio normativo tra le fonti primarie (decreti-legge) e le fonti secondarie adottate (decreti e ordinanze di natura amministrativa) ha avuto riflessi sul piano degli equilibri costituzionali, accentuando, da un lato, il ruolo e la presenza del Governo e deprimendo, dall’altro, il ruolo e la presenza del Parlamento che, per la stessa natura dell’emergenza, si è trovato talvolta impedito nella sua normale operatività.

Questa situazione (sia per la genericità di alcune previsioni contenute nei decreti-legge, sia per l’uso eccessivo di strumenti di natura amministrativa come i Dpcm) ha condotto in taluni casi a forzare i confini delle "riserve di legge" stabilite dalla Costituzione a tutela dei diritti fondamentali, suscitando dubbi di costituzionalità tanto sul terreno della legalità formale (relativa al rapporto tra fonti primarie e secondarie) quanto sul terreno della legalità sostanziale (con riferimento alla proporzionalità ed adeguatezza delle misure adottate).

Problemi di natura costituzionale sono, d’altro canto, sorti anche con riferimento ai rapporti tra Stato e Regioni titolari, ai sensi dell’art. 117 cost., di una competenza "concorrente" nella materia della "tutela della salute" (ancorché in presenza di una competenza "esclusiva" dello Stato in tema di "profilassi internazionale"). Su questo terreno il coordinamento tra i diversi livelli (nazionale, regionale e locale) di governo e gestione della sanità non è stato sempre tempestivo ed adeguato e questo non ha mancato di produrre danni e disagi in molte comunità locali.

L’emergenza si sta ora esaurendo nella massima parte del territorio statale, ma dall’esperienza vissuta risulta possibile trarre alcuni insegnamenti attinenti alla sfera costituzionale utili per il futuro. Questi insegnamenti, si possono, a nostro avviso, riassumere nei seguenti punti.

A) L’esperienza della pandemia ha stressato notevolmente il nostro impianto costituzionale, ma non ha imposto l’esigenza di introdurre in tale impianto riforme dirette ad introdurre una nuova e specifica disciplina dell’emergenza. Questa disciplina esiste già e trova il suo perno nella decretazione di urgenza di cui all’art. 77 cost. dove, per le situazioni "straordinarie" di necessità ed urgenza, si statuisce un potere di intervento fondato su un rapporto equilibrato tra Parlamento e Governo. I problemi sorti con riferimento all’equilibrio di tale rapporto nonché alla tutela dei diritti fondamentali di libertà potranno trovare in futuro una soluzione soddisfacente sul piano della prassi a condizione di rafforzare (anche attraverso un ricorso più intenso alle Commissioni camerali) il potere di controllo parlamentare sul Governo specialmente con riferimento al rispetto dei confini stabiliti dalle "riserve di legge" costituzionali a difesa dei diritti fondamentali.

B) Analoga osservazione vale per quanto concerne i problemi sorti nei rapporti tra Stato e Regioni, che impongono di rafforzare le tecniche di coordinamento tra i diversi livelli di governo. Rafforzamento che sarà possibile operare attraverso strumenti che sussistono già a livello costituzionale, ma che richiedono per il futuro un migliore utilizzo degli organi misti (quali le Conferenza Stato-Regioni e Stato-città – enti locali), nonché un impiego più attento del potere sostitutivo che la costituzione, con l’art. 120, secondo comma, affida allo Stato nei confronti delle Regioni e degli enti locali che non adempiano adeguatamente ai propri compiti.

ENZO CHELI