Come ha giustamente sostenuto di recente Nadia Urbinati – filosofa e politologa ben nota – la risposta ai rischi del contagio ha messo allo scoperto una serie di valori che la società dei consumi, del neoliberismo sfrenato, dello sfruttamento del lavoro precario, dell’ingordo egoismo delle grandi holding multinazionali, aveva messo nell’angolo, ritenendoli, come aveva sentenziato Hegel, frutto della "pappa del cuore e dell’amicizia". Ora sorge spontanea la domanda: quanto durerà il prevalere della solidarietà sull’assillante parola d’ordine del ritorno alla normalità? O l’azione devastante del virus ha dato forza e carburante ad una nuova versione del capitalismo globale tutto o quasi finanziarizzato?

Abbiamo l’impressione, sperando di sbagliare, che dopo i giorni della fratellanza stanno arrivando i nuovi caini che, approfittando della debolezza dei governi e dei ritardi dell’Europa, bloccata dai veti egoistici delle nazioni sovraniste e di estrema destra, propongono provvedimenti di politica economica che sfruttano vergognosamente l’urgenza dei bisogni e la drammaticità delle emarginazioni per tornare a forme di sfruttamento che si pensava fossero state cancellate cinquant’anni or sono dalle conquiste ottenute con lo Statuto dei Lavoratori. A tutto questo si aggiunga una sorta di torpore che ha colpito le forze politiche italiane sia di governo che di opposizione.

Anche il più sprovveduto dei cittadini italiani che sente volteggiare intorno a sé milioni e miliardi di euro comincia a rendersi conto che all’uscita dall’emergenza sanitaria (senza sottovalutare l’ipotesi di un ritorno di fiamma dell’epidemia nei mesi autunnali) non corrisponde affatto un’uscita dall’emergenza economica e occupazionale. Spesso si fa riferimento alle disastrose condizioni dell’Italia alla fine della seconda guerra mondiale: fabbriche distrutte, case colpite dalla furia dei bombardamenti, miseria nelle campagne specialmente del Sud, disoccupazione dilagante. Anche allora arrivarono aiuti in modo particolare dagli USA e una unità di intenti delle forze politiche democratiche – anche dopo la fine dei governi di unità nazionale – fu la condizione prima di un percorso di rinascita e di ricostruzione del paese.

Siamo dinanzi a una crisi epocale, a una vera e propria guerra intestina, tra Confindustria che attacca a tutto spiano le scelte del governo e sindacati dei lavoratori che guardano con forte preoccupazione alla fatidica data della seconda metà di agosto quando scade il divieto di licenziamento. Sono le avvisaglie di uno scontro che coinvolge il comparto industriale ma anche, in maniera disastrosa, il mondo dell’agricoltura che ha perduto in poche settimane quasi 15 miliardi di fatturato, per non parlare di ristoratori, albergatori, lavoratori del cinema e del teatro, lavoratori e lavoratrici che lavorano nei campi o assistono persone anziane. Abbiamo apprezzato e condiviso la politica del governo, la sua fermezza e la sua gestione dell’emergenza, ma ci lascia a dir poco sconcertati l’assoluta incapacità di passare dalla valanga di decreti per affrontare crisi economica e disoccupazione alla loro attuazione.

Sembrava che dovesse piovere sull’Italia un mare di soldi, ma tutto o quasi è bloccato, da un lato dall’elefantiasi burocratica della quale da sempre ha sofferto il nostro paese e, dall’altro, dagli incredibili e incoscienti veti contrapposti tra i partiti della maggioranza e dall’aventinismo delle forze di opposizione che hanno adottato la politica del muoia Sansone con tutti i filistei. Abbiamo creduto, forse sopravvalutando quello spirito di fratellanza e di reciproco aiuto e quell’atmosfera di attesa di una nuova società basata sull’equità e su un nuovo patto sociale, che l’armonia e lo sviluppo solidale potessero uscire vincitori dalla lotta mortale col Virus. Speriamo che sia così, ma aleggia lo spettro di una contrapposizione di tipo nuovo tra capitale e lavoro e non resta che sperare che essa continui a percorrere i binari della legalità e del confronto anche duro. Altrimenti alla catastrofe economica si aggiungerà la catastrofe umana.

ANONIMO NAPOLETANO