Per molti anni, almeno nel campo della sinistra e del centro sinistra, erano quasi un dogma. Laico, ovviamente. Una sorta di totem intoccabile e sacro. Chi toccava le "primarie" e la loro virtù salvifica e miracolistica era quasi giubilato, malamente zittito se non addirittura insultato nelle sedi politiche e anche sugli organi di informazione. Chi osava mettere in discussione questo oggetto sacro - che poi non era nient’altro che uno strumento burocratico e protocollare - appariva, di fatto, come un bieco reazionario, un difensore della casta e un amante del sistema asfittico è sempre più insopportabile dei partiti. Appunto, da emarginare senza complimenti e senza preavviso. Chi ricorda, oggi, quei momenti, quegli articoli, quei commenti politici e giornalistici della solita consorteria progressista radical chic, sembra quasi di parlare della preistoria.

Certo, i teorici della infallibilità dogmatica esistono ancora, eccome se esistono. Ma oramai il tema non fa più notizia, come si suol dire. Ovvero, è fuori moda. Le primarie ci sono ancora negli statuti di alcuni partiti - in questo caso del Pd - ma riproporle sembra quasi una perdita di tempo. Ora, per non generalizzare, anche perché sarebbe ingiusto e fuorviante, va pur detto che le primarie hanno, comunque sia, rappresentato un momento importante nella vita politica italiana. Solo e soltanto per il centro sinistra, come ovvio. Hanno significato partecipazione popolare, coinvolgimento attivo di cittadini sino a quel momento esclusi dalle scelte più importanti e impegnative e hanno incentivano alla militanza e ad un maggior attivismo in politica. Partendo dagli ormai famosi "gazebo".

E poi, però, c’è stato anche il risvolto della medaglia. Troppe volte e in troppe circostanze le primarie sono anche, e purtroppo, coincise con un profondo malcostume e decadimento politico mai sradicato del tutto nel nostro paese. Dall’intruppamento clientelare ai dubbi crescenti sulla correttezza dello spoglio delle varie consultazioni sino alle molteplici denunce che hanno costellato in tutto il paese, senza distinzione geografica o territoriale, il risultato stesso delle primarie. Gettando un’ombra sinistra su questo strumento burocratico e protocollare. Adesso, però, e al di là di ciò che è capitato in un passato più o meno recente, quello che conta rilevare è un altro aspetto. E cioè, la scelta della classe dirigente - a prescindere che sia per la scelta dei candidati per gli organi monocratici o per le cariche di partito o per gli stessi parlamentari - deve ancora essere affidata fideisticamente alle primarie oppure i partiti hanno un soprassalto di dignità e di consapevolezza nell’esercitare un ruolo che, di fatto, dovrebbe toccare proprio agli organi dirigenti dei suddetti soggetti politici?

La domanda, credo, non è affatto peregrina. Sempre che i partiti, o almeno quel che resta di loro, pensino ancora di esistere politicamente e di non trasformarsi definitivamente e irreversibilmente in cartelli elettorali o in meri strumenti nelle mani del capo di turno o del guru. Perché, se così fosse, sarebbe perfettamente inutile continuare a parlare di partiti, di organi dirigenti e di selezione democratica della stessa classe dirigente. E questo a maggior ragione in un contesto storico dove si registra la più bassa credibilità dei partiti e degli stessi politici nella pubblica opinione dopo l’uragano di tangentopoli e della famosa "questione morale" del lontano 1992 che travolse la prima repubblica e rase al suolo la vecchia classe dirigente con i rispettivi partiti.

Ecco perché il capitolo delle primarie, o meno, ritorna di attualità. Non per rinverdire uno strumento che ormai appare abbastanza datato se non addirittura tramontato, ma per la semplice ragione che siamo ormai giunti ad un bivio: e cioè, o la politica, attraverso i partiti e i suoi leader e dirigenti, ritrova la sforza per rideclinare una presenza nella società contemporanea - seppur non invadente ed invasiva - oppure certifica definitivamente la sua inutilità e persino la sua negligenza. Si tratta semplicemente di scegliere che strada intraprendere. E il dibattito sulle primarie, al riguardo, può tornare utile e persin necessario.

GIORGIO MERLO