Il 13 luglio del 1930 cominciava la storia dei Mondiali nel primo torneo ufficiale organizzato dalla Fifa in Uruguay e vinto dai padroni di casa. Dagli stadi di Montevideo partì un’onda travolgente che con il trascorrere del tempo è diventata la manifestazione sportiva più seguita al mondo e che oggi celebra i suoi novant’anni. Era dall’inizio del novecento che la Fifa coltivava l’idea di organizzare un torneo mondiale per nazioni e quando la decisione finalmente si concretizzò il presidente della Fifa Jules Rimet non ci pensò due volte a sostenere la candidatura di quello che era uno dei paesi più avanzati al mondo dal punto di vista legislativo anche abbastanza ricco e con la squadra più forte. Il 1930, tra l’altro, rappresentava il centenario del giuramento della Costituzione e prevedeva grandi festeggiamenti. L’Uruguay era reduce dai trionfi olimpici del 1924 e del 1928 che avevano fatto scoprire al mondo questa piccola terra sudamericana incastrata tra i giganti e che si presentava come candidato ideale per i primi Mondiali dello sport che stava dominando. Erano due i pezzi forti della candidatura "celeste": la costruzione di un nuovo stadio, il Centenario, allora il più grande del mondo, e la promessa delle autorità uruguaiane di rimborsare le spese a tutti i paesi partecipanti. Al congresso della Fifa tenutosi a Barcellona nel 1929 non ci furono sorprese e la scelta, unanime, cadde sui grandi favoriti. A quei primi Mondiali la grande assente fu l’Italia e, a distanza di novant’anni, non esiste ancora una spiegazione ufficiale. A dire il vero quella italiana non fu l’unica assenza pesante dato che anche altre federazioni europee (Cecoslovacchia, Ungheria, Austria e Svizzera) rinunciarono al torneo sudamericano. "La federazione italiana non diede mai una motivazione ufficiale per quella scelta" dice Niccolò Mello, esperto di storia del calcio e autore del libro "Quando il calcio era Celeste", offrendo due chiavi di interpretazioni che sono state molto dibattute e che spaziano dalla politica agli aspetti organizzativi del torneo. Il primo aspetto, citato particolarmente dalla stampa sudamericana dell’epoca, chiama in causa il fascismo e l’AUF, l’associazione calcistica uruguaiana: "Il regime fascista di Mussolini temeva un arrivo eccessivo di oriundi e voleva salvaguardare la scuola italiana, mentre in Sud America si sentivano defraudati dalle nazionalizzazioni degli oriundi dato che perdevano grandi calciatori. Per un lungo periodo i rapporti tra la federazione italiana e quelle rioplatensi -Uruguay e Argentina- erano abbastanza conflittuali e questo è ormai risaputo". Il secondo aspetto, invece, riguarda l’organizzazione stessa di quei primi Mondiali della Fifa: "L’Italia allora era una potenza calcistica e spingeva, insieme alle altre federazioni, per l’organizzazione del torneo in Europa come effettivamente avvenne nelle due edizioni successive nel ‘34 e nel ‘38. Ecco perché secondo molti l’assenza in Uruguay potrebbe essere stata anche per ripicca". In ogni caso certezze non ce ne sono e queste sono solo due ipotesi che ci possono fornire due indizi. La verità forse non la sapremo mai. Al di là dalle ragioni che motivarono quella pesante assenza Mello afferma con una certa sicurezza che quei "Mondiali del 1930 furono snobbati in Italia". "Sugli organi di stampa venne concesso poco spazio e solo qualche trafiletto al primo torneo della Fifa proprio perché l’evento non era così sentito nel paese. In quel periodo si preferì dare maggiore attenzione ad altre discipline come ad esempio il ciclismo o l’automobilismo. L’unica eccezione fu "Il Littoriale" che aveva un corrispondente da Montevideo che scrisse per la finale". L’assenza dell’Italia dai Mondiali del 1930 venne in qualche modo compensata dal piroscafo Ponte Verde che partì dal porto di Genova portando oltre oceano tre nazionali -Romania, Francia, Belgio e poi ultima tappa in Brasile e la pregiatissima coppa del mondo, 1.800 grammi di oro massiccio rinchiusi in una cassaforte di sicurezza durante tutto il viaggio: 15 giorni per arrivare a Montevideo e dare inizio alla leggenda.

MATTEO FORCINITI