Lui era la televisione, la voce profonda che ha raccontato il paese, la sua storia, il suo modo di vivere e cambiare e persino il suo sport. È morto Sergio Zavoli, giornalista di fama, ex parlamentare del Partito Democratico ed ex presidente Rai. Si è spento a Roma all’età di 96 anni dopo un’esistenza passata in prima linea. Era nato a Ravenna il 21 settembre 1923, cresciuto a Rimini, debuttando su un periodico universitario e già nel 1947 era entrato in Rai. La prima notorietà arriva con i documentari "Scartamento ridotto", "Notturno a Cnosso" (Premio Italia 1954), "Clausura" (Premio Italia 1957, tradotto in sei lingue). Poi nel 1962 aveva pensato e fondato la mitica trasmissione televisiva "Processo alla tappa", un programma sportivo incentrato sul Giro d'Italia che ha fatto innamorare del ciclismo milioni e milioni di italiani. Indimenticabile la sua intervista in corsa a Lucillo Lievore, vicentino di Breganze, ultimo in classifica, 17 minuti di vantaggio dal gruppo. "Non voltarti, tieni duro" gli urlava Zavoli dalla moto, sapendo che, davanti al ciclista in fuga, c'era "un altro corridore, più in fuga di lui", spronandolo a raggiungerlo. Era una sorta di metafora della vita: "Il mondo non è fatto di primi, vincitori e vincenti, ma di secondi, terzi, ultimi, di gente che arriva fuori tempo massimo pur sputando sangue" spiegò a proposito di quell’intervista. Da quel modo di fare informazione è sorta la rubrica Tv7, sono nati i reportage televisivi più belli, "Viaggio intorno all'uomo", "Nascita di una dittatura" e "La notte della Repubblica". Circa 50 ore sulla "rivoluzione impossibile del terrorismo" con interviste ai padri delle vittime e ai brigatisti davanti alla telecamera. Un faccia a faccia condotto con quella sua voce profonda, piana, tuttavia severa fino a intimidire, destabilizzare l'interlocutore. Dal 1976 all’80 fu direttore del Gr1, dall’80 all’86 presidente della Rai. Aveva senso di responsabilità, spirito di servizio e un'idea etica dell'informazione. Seguì anche l'impegno in politica. Eletto al Senato nelle liste dei Democratici di Sinistra nel 2001, nelle liste dell'Ulivo nel 2006 e nel Partito Democratico nel 2008 e nel 2013.
Aveva uno spirito arguto e un modo di raccontare l’esistenza unico nel suo genere. A proposito della sua morte, ragionava non senza ironia da vero giornalista: "Non vorrei andarmene senza essere presente al congedo. Dopo l’evento della mia nascita, vorrei non perdermi quello, conclusivo, del congedo" ha detto recentemente.
Raccontava che quasi ogni giorno, alle 7.30, gli arrivava una telefonata. Federico Fellini lo chiamava rammentando la gioventù in Romagna. "Ci raccontavamo le cose più diverse,
anche i sogni" confessava il giornalista. Erano uniti dal gusto della parola, dalla capacità di trasmettere emozioni ma anche dall’idea del sogno. Non a caso Zavoli è stato un intellettuale completo, giornalista, radiocronista, condirettore del telegiornale, direttore del Gr, presidente della Rai, narratore e saggista, persino poeta. In quel piccolo schermo che a partire dagli anni Cinquanta divenne la compagna migliore degli italiani, lui interpretava
proprio la voglia di emozioni. Vi era entrato grazie a Vittorio Veltroni, il padre di Walter, nel primo dopoguerra e di televisione si è occupato tutta la vita, anche quando entrò in Parlamento svolgendo il ruolo di presidente alla Commissione vigilanza Rai nel difficile periodo berlusconiano. Per Zavoli, pur consapevole delle logiche di mercato, la televisione pubblica era "uno straordinario mezzo di promozione della crescita culturale e civile
della società". A suo giudizio "far conoscere i fatti è già un modo di risvegliare le  coscienze".
Proprio durante la sua presidenza della Rai gli toccò una difficile e inedita navigazione,
con la fine del monopolio televisivo e la nascita dell'emittenza privata. "Fu un'occasione storica mancata" ripeteva sempre. La Rai avrebbe dovuto accettare la sfida, competere, distinguersi per qualità e impegno. Ma così non è stato. Hanno vinto l'appiattimento, la tentazione al ribasso, il populismo. Zavoli, socialista da sempre, veniva chiamato anche "il socialista di Dio", prendendo spunto dal titolo di un suo libro. Navigò sempre nella
Roma dell’informazione della politica senza esserne troppo scalfito ("Non sarò stato un campione di intransigenza ma non ho granché di cui arrossire"). Nel 2007 il giornalista aveva anche ricevuto la laurea honoris causa all'università Tor Vergata di Roma: "Come trasmettere il senso delle cose comunicate – aveva detto - se, per garantirsi il consenso del pubblico, si è fatto largo il costume di privilegiare l'effimero e l'inusuale, il suggestivo e
il violento strumentalizzando e banalizzando persino la sacralità della vita e della morte?". Si può immaginare la distanza che intercorreva tra il suo modo profondo di fare informazione (che lo accostava all’altro emiliano Enzo Biagi) e quella televisione "enfatica, ammiccante, strumentale" che era nata con i canali privati a cui si era adeguata anche la televisione di stato. Le piccole storie umane e sportive da lui raccontate erano sparite per
fare spazio a format e spettacoli di intrattenimento. Lui si disinnamorò di quella televisione e quindi andò alla direzione de "Il Mattino di Napoli" nel '94, ottenne due Prix Italia, la laurea honoris causa, scrisse libri e entrò in politica, "in ossequio a quell'impegno civico ereditato dal padre diventando tre volte senatore.
"Questa mattina, con parole delicate e precise, la famiglia mi ha trasmesso il desiderio di Sergio di essere riportato a Rimini e riposare accanto a Federico Fellini" spiega il sindaco di Rimini, Andrea Gnassi. "Di tutto quello che si dirà, in queste ore, in questi giorni, per  sempre, di Sergio Zavoli forse passerà inosservato un fatto apparentemente locale: Rimini è la sua patria. Lo è stata in vita per affetti, lavoro, amicizie, passioni. Lo sarà ancor più da ora in avanti" sostiene Gnassi. "La scomparsa di Sergio Zavoli mi addolora.
Desidero anzitutto esprimere i miei sentimenti di vicinanza e solidarietà ai familiari. Il giornalismo italiano perde uno dei suoi maestri. Il congedo di Zavoli - come lui stesso lo definiva - sarà occasione per ripensare la sua eredità, per ricordare l'originalità e la qualità dei suoi lavori più importanti, per trarre spunti e ispirazione dal suo stile, dalla sua etica professionale, dalla sua grande forza narrativa capace di andare in profondità e di cogliere l'umanità che sta dietro gli eventi e i protagonisti" ha dichiarato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.