La prima volta che il termine ‘battleground state’ (terreno di battaglia) appare nella stampa americana è il 1842, nel giornale Centinel of Freedom nello stato del New Jersey. Il significato attuale del termine – uno stato diviso politicamente tra il partito Democratico e quello Repubblicano, rendendo l’esito elettorale per le presidenziali incerto - è legato alla nascita degli attuali partiti politici americani tra il decennio che parte con il 1850 e la guerra civile americana (1861-65). Nei media si legge ugualmente di ‘swing states’ termine che esprime lo stesso concetto. Questi stati, con i loro voti dei Grandi Elettori, sono strategici per le elezioni del presidente degli Stati Uniti. Gli swing states non sono sempre gli stessi. Ad esempio, anni fa la California, l’Illinois e il New Jersey erano ‘battleground’, mentre adesso votano per il partito Democratico.

Questo è dovuto in parte ai cambiamenti demografici del Paese e a momenti storici precisi che hanno determinato alterazioni geografiche importanti da parte dell’elettorato americano e la sua appartenenza ai due partiti. Il sistema per l’elezione del presidente degli Stati Uniti è il frutto di un compromesso e fa uso del Collegio Elettorale. Spesso criticato o giudicato anacronistico, quando venne stabilito nella Costituzione americana nel 1787, era considerato il modo più innovativo e democratico per tenere le elezioni della più alta carica della nuova nazione. In questo sistema il voto popolare non elegge il presidente in maniera diretta, ma tramite i voti dei Grandi Elettori (ogni stato ha un numero di voti). Per questo motivo si possono verificare casi in cui il voto popolare non è allienato con quello dei Grandi Elettori.

Per vincere le elezioni presidenziali il candidato dovrà ottenere un minimo di 270 voti dei Grandi Elettori su un totale di 538. Il caso più eclatante fu proprio quello delle elezioni 2016 nelle quali Hillary Clinton vinse con un distacco di quasi 3 milioni di voti popolari su Donald Trump, ma nonostante ciò non raggiunse il numero magico di 270 Grandi Elettori, perdendo le elezioni. Mentre una buona parte degli stati votano in maniera prevedibile (e quindi ‘affidabile’ per i candidati) per il partito Repubblicano o Democratico, alcuni, gli swing states, essendo divisi politicamente riservano sorprese e diventano determinanti per l’esito finale delle elezioni. Per questo motivo tanta attenzione viene prestata dai media, sondaggisti e dalle stesse campagne elettorali dei candidati, per vincere negli swing states. Nelle prossime elezioni del 3 novembre, gli stati il cui esito è incerto sono: Florida, Pennsylvania, Arizona, North Carolina, Michigan, Wisconsin, Maine, Minnesota, Nevada, New Hampshire, Ohio, Texas, Georgia e Nebraska (nel secondo distretto congressionale). Non tutte le fonti raggiungono un consenso esatto su quale siano gli swing states nel 2020. Solitamente gli stati nei quali il margine di vittoria del candidato alle ultime elezioni è stato del 5% (o al di sotto) indica un margine di vittoria molto incerto e quindi viene considerato ‘battleground’.

In generale nelle ultime due settimane il distacco tra i due candidati nei sondaggi che dava Biden in testa, pare essersi di nuovo accorciato, ma questo non cambia il valore strategico di questi stati chiave. Tra questi ultimi, quattro in particolare- definiti dal Washington Post‘the big four’- sono di estrema importanza per le presidenziali 2020: Pennsylvania, Michigan, Wisconsin e Florida. Tutti stati che prima votavano per il candidato Democratico, ma che sono stati vinti da Trump nel 2016, seppur con un margine di vittoria solo del’1% o meno. La loro importanza strategica è anche legata al numero di voti di Grandi Elettori legati a ognuno.

FLORIDA

Con 29 voti dei Grandi Elettori, noto anche come ‘the sunshine State’ (lo stato assolato) è considerato chiave nelle elezioni degli ultimi vent’anni. Obama nel 2012 vinse con un margine esiguo di solo lo 0.88%. Trump nel 2016 vinse con un margine del 1.2%. Nel 2018 le elezioni del Governatore e per il Senatore della Florida, entrambe vinte da esponendi del partito Repubblicano, vennero decise con margini molto ristretti. Questo stato è possibilmente anche il più complesso e più costoso da vincere nel Paese. Gli esperti politologhi di Washington (di entrambe i partiti) nel programma ‘Hacks On Tap’ spiegano che, per vincere in Florida, i costi per una campagna elettorale che dia risultati sono altissimi. Trump ha già investito 17.2 milioni nello stato dall’inizio della sua campagna elettorale (e ne ha assegnati un totale di 36 milioni per tutta la sua campagna nello stato). Biden ha investito 8 milioni e ne ha assegnati altri 4 ancora da spendere. Come dice un detto americano ‘put your money where your mouth is’ (passare dalle parole ai i fatti, ossia essere pronti a investire economicamente). I molteplici sondaggi condotti da marzo ad oggi da diverse fondazioni e università, danno tutti Biden in testa con un distacco che varia tra i 6 e i 13 punti a seconda del sondaggio. Distacco che si è accorciato nelle ultime due settimane. A sottolineare la particolarità dello stato, mentre il team di Trump ha diviso gli Stati Uniti in 9 regioni, la Florida è considerata una regione a sè. Un aspetto chiave è quello demografico. Con i suoi 21.3 milioni di residenti (fonte: US Census Bureau), il 26% è ispanico e circa il 17% è nero, diviso tra Afro-americani e popolazione di origine haitiana. Il sud dello stato, in particolare Miami, era una meta ambita per i pensionati abbienti del nord. La Florida è anche uno dei più colpiti dal Covid-19 con 487 mila casi e oltre 7000 decessi.

PENNSYLVANIA

Con 20 voti dei Grandi elettori, Trump vinse in questo stato con soli 44 mila voti di distacco. Trump fu il primo candidato Repubblicano a vincere alle presidenziali in Pennsylvania dal 1988.Lo stato sembra essere tornato ai Democratici con la vittoria dei candidati Democratici nel 2018 come Governatore e per il Senato (con distacchi molto significativi). Nel 2016 la candidata Clinton, considerata molto divisiva, vinse nelle città e nei sobborghi ma perse nella parte rurale dello stato dove Trump ebbe la meglio con l’elettorato più anziano e rurale e con i colletti blu. Nel caso di Biden, nato a Scranton in Pennsylvania, l’attuale candidato Democratico viene percepito invece come un ‘colletto blu’ e gode di un forte consenso con l’elettorato Democratico dello stato. La campagna elettorale di Trump ha già investito 10 milioni di dollari nello stato e ne ha riservato altri 7. Chiamato dai suoi detrattori ‘the armit of America’(‘postaccio’) –in riferimento alla cittadina di Scranton e il suo passato di cittadina di minatori- Biden avrebbe già speso più di 6 milioni di dollari per la sua elezione nello stato. Secondo il sito Americano RealClearPolitics, Joe Biden avrebbe un vantaggio di circa 6 punti percentuali al momento in questo stato. Uno dei motivi della perdita di consensi per Trump nella Pennsylvania sarebbe attribuibile secondo Politico alla pandemia e a come è stata affrontata.

WISCONSIN

Con 10 voti dei Grandi elettori, questo stato fra le 3 roccaforti democratiche del Midwest che votarono per Trump nel 2016, è forse il più competitivo. Trump vinse con un distacco di soli 23 mila voti. Entrambe i partiti, come citato nel Washington Post, attendono con nervosismo i risultati elettorali del Wisconsin. I Repubblicani hanno individuato delle zone critiche (nella parte sud ovest dello Stato ) ma sono più compatti in supporto di Trump rispetto al 2016. Nonostante i Democratici abbiano eletto il Governatore- Tony Evers- nel 2018, è stato con un margine molto ristretto e hanno perso la corsa alla Corte Suprema dello Stato che si aspettavano di vincere. Non a caso il partito Democratico ha scelto Milwakee, la più popolosa città dello stato, per tenere la Convenzione Nazionale del Partito Democratico (ora spostata a un formato più digitale a causa la pandemia). Trump ha probabilmente maggior bisogno di vincere in Wisconsin di Biden ma, se i Democratici strappassero la vittoria qui e in Michigan e Pennsylvania, Biden vincerebbe probabilmente le elezioni presidenziali. Attualmente secondo una media di sondaggi, Biden avrebbe un vantaggio nello stato di 5 punti su Trump.

MICHIGAN

Con 16 voti dei Grandi Elettori, Trump vinse nello stato con un margine strettissimo di soli 10,704 voti. Nelle elezioni di midterm del 2018, il partito Democratico segnò una vittoria importante con l’elezione del governatore Gretchen Whitmer e della Senatrice Debbie Stabenow (oltre ad altri seggi a livello statale). Degli swing states pare uno dei più probabili a votare Democratico alle presidenziali 2020. Secondo il New York Times, la campagna elettorale di Trump avrebbe speso somme moderate nello stato, intorno ai 3 milioni e mezzo, preventivando 1 milione aggiuntivo. Nel Michigan si voterà anche per la rielezione di uno dei Senatori, il Democratico Gary Peters. Tuttavia la candidatura Repubblicana di John James, afro-americano, potrebbe riservare sorprese nell’attuale clima di protesta per i diritti civili negli Stati Uniti. La media dei sondaggi in questo stato attribuisce a Biden un vantaggio su Trump che supera i 7 punti. Come spiega il profilo di ElezioniAmericane2020 , fornendo dettagli aggiuntivi sugli swing states, (in lingua italiana ma facendo uso di fonti per la maggior parte americane), il grande circo dei tour elettorali è partito! In conlusione, nel 2016 ci furono dieci Stati nei quali il margine che separava i due candidati dalla vittoria era inferiore ai 2 punti percentuali (per un totale di 125 voti dei Grandi Elettori). Il 3 novembre Trump, cercherà di difendere sei degli attuali battleground states vinti nel 2016- Arizona, Florida, Michigan, Pennsylvania, Wisconsin e North Carolina. A meno di 100 giorni dal giorno del voto, il clima elettorale appare sempre più acceso e polarizzato.

di GAJA PELLEGRINI-BETTOLI