La recente analisi dell’Istat fornisce, finalmente, una informazione fondamentale relativamente al reale numero di persone che hanno contratto il virus durante la pandemia Covid-19. Rispetto al numero degli infetti registrati dal sistema della sanità pubblica, circa 250.000 persone, un numero circa sei volte maggiore, pari a 1.482.000 persone, hanno contratto il virus, per lo più senza mostrare effetti particolari. Si tratta del 2.5% degli Italiani. Questa preziosa informazione, ottenuta tramite l’analisi del sangue e l’identificazione dell’Rna virale nei campioni di 66.400 individui scelti in modo casuale, permette di chiarire il mistero del tasso di decesso che ha caratterizzato l’epidemia nel nostro paese.

In Italia, infatti, il rapporto tra il numero di decessi e il numero di infetti supera il 14%, con punte che sfiorano il 17% in Lombardia. Si tratta di un numero molto più alto di quanto osservato in altri paesi, tipicamente minore del 5%. I dati dell’Istat permettono di stabilire che a livello nazionale, il rapporto tra decessi e il totale degli infetti è invece molto più basso, 2.14%, facendo rientrare nella normalità la mortalità dell’epidemia registrata in Italia. È interessante osservare come, regione per regione, l’effetto dei risultati sierologici, cambi completamente la mappa del tasso di mortalità. Si va dal minimo della Basilicata (0.6%) al massimo dell’Emilia Romagna (3.4%). Si attenua anche l’effetto Nord-Sud sul tasso di mortalità: in particolare si nota come la Lombardia, che risultava essere la regione con il massimo del tasso di mortalità (16.8%), rientra ora nella media nazionale (2.2%). In altri termini il tasso elevatissimo di mortalità in Lombardia era dovuto alla diffusione raggiunta dall’epidemia (il 7.5% dei lombardi ha contratto il virus, circa 750.000 persone), non a condizioni ambientali particolari e neppure alla difficilissima situazione in cui si è trovato il sistema sanitario lombardo che ha dovuto fronteggiare un numero enorme di casi.

Occorre però notare che questo dato potrebbe essere ritoccato al rialzo considerando i casi di morti da Covid che però non sono stati registrati come tali durante il picco dell’infezione in alcune delle zone della Lombardia. Sarà interessante capire le cause della significativa dispersione di valori nel tasso di mortalità: tra la Basilicata e l’Emilia Romagna c’è una differenza di quasi 6 volte. Questo può essere legato a vari fattori, in particolare all’età media dei pazienti colpiti: il peso del contributo delle RSA sul totale, diverso regione per regione, influenza certamente questi valori e deve essere considerato. Con questi risultati la pericolosità di questo virus risulta ancora più evidente. Gran parte dei contagiati, pur essendo contagiosi per un periodo variabile da pochi giorni a una settimana, risultano completamente invisibili al sistema di protezione.

Qui non si tratta solo di asintomatici, vale a dire di persone che sono state individuate con i tamponi ma che non avevano avuto sintomi. Rispetto agli asintomatici contagiosi "identificati" un numero molto maggiore di asintomatici contagiosi "non identificati" ha circolato e circola nel nostro Paese. Il 2.5% della popolazione è un numero elevato: naturalmente non si tratta di persone in cui è attiva la malattia, né che sono contagiose.

Questo numero però da una idea di come al crescere degli "infetti identificati" – crescita chiaramente in corso nelle settimane che hanno seguito la fine del lockdown come discusso per esempio qui – può anche crescere fino a 6 volte di più (dipende dall’efficacia del tracciamento in atto nel contenimento dei focolai) il numero di infetti contagiosi circolanti. Per cui dobbiamo assolutamente continuare a difenderci dal nemico invisibile mantenendo la massima attenzione nel rispetto delle procedure di distanziamento sociale e di protezione personale.