Ci conoscemmo sul campo di calcio: lui giocava da ala destra; ricordo che correva come pochi ed riusciva il piú delle volte ad infilare il pallone in rete. Conoscevo bene i suoi trucchi, perché io giocavo in porta e me la cavavo abbastanza bene per acchiappare i suoi micidiali tiri. Avevamo 11 anni e sul campetto di Posillipo, a Napoli, immaginavamo il futuro come una grande partita di calcio. Da allora non sapemmo piú niente l’uno dell’altro; ed ora improvvisamente la tecnologia del "facebook" ci ha fatto riincontrare.

Con le nostre rughe e gli anni, ci siamo ritrovati e raccontati parte delle nostre storie di vita. Abbiamo anche scoperto qualcosa che ignoravamo quando giocavamo sul campetto di calcio dei gesuiti: le radici di entrambi sono nel Cilento. Manco da qualche anno in quello che chiamo "il mio Cilento" e l’incontro con l’amico mi ha riportato a percorrere tempi, immagini e sapori di quella straordinaria e povera terra montagnosa che si trova tra Eboli, il Mar Tirreno e il Vallo di Diano. Non é a caso che parlo su Gente d’Italia del Cilento.

Non é solo un riferimento alla mia vita; dal Cilento partirono in tanti per giungere in Uruguay e trasformare la loro vita: professionisti, politici, imprenditori, insomma quanto di piú rilevante vi sia nella societá locale, hanno in molti casi origini cilentane. Se voi chiedete ad un discendente di emigranti del Cilento sulle sue origini, vi dirá che lui é "salernitano". Ma i salernitani - cosí como i napoletani - mai emigrarono. Il fenomeno dell’emigrazione italiana si riferí sempre a piccoli paesi e mai (o eccezionalmente, a centri urbani di ampie dimensioni). Cosí se a colui che si definisce Salernitano, chiedete "E di che paese sei?", probabilmente vi segnalerá nomi noti e meno noti del Cilento, come: Ascea, Cannalonga, Casal Velino, Castelnuovo Cilento, Ceraso, Gioi, Moio della Civitella, Novi Velia, Omignano, San Mauro Cilento, Vallo della Lucania e via di seguito.

L’emigrazione cilentana in Uruguay partí a fine del secolo XIX e nel secondo dopoguerra. Fu una emigrazione - come quasi tutte le emigrazioni - spinta dalla fame, perché di fame nel Cilento ce n’era tanta. Molti emigranti venivano dalle montagne, dove piú di uno viveva con le sue pecore nelle grotte. Quasi tutti erano analfabeti, perché nel Cilento la mano del Signore - come si diceva - non era mai arrivata, perché como dice lo strano titolo del bel libro di Carlo Levi, "Cristo si é fermato ad Eboli".

Eboli é infatti - venendo dal nord - l’ultima terra che si lascia, prima di salire verso le asprezze montane del Cilento. Mi piace ricordare che quei cilentani che a migliaia sbarcarono in Uruguay - la maggior parte analfabeti e rozzi -, trovarono in queste terre lo spazio necessario per costruire una realtá vitale e por proiettare nei loro discendenti quella cultura, che a loro era stata negata. Tutti lavorarono duro, affinché i figli potessero studiare: la maggiore ambizione non era diventare ricchi, ma offrire ai figli un titolo universitario, che nel loro immaginario era il massimo traguardo. Perció oggi celebro questo mio ritorno nel Cilento - anche se attraverso le nuove tecnologie della comunicazione - che in epoca di pandemia mi fa percorrere strade e paesi che conobbi da piccolo; provare le emozioni dei faló accesi in inverno o dei tuffi in quel meraviglioso mare che va da Palinuro ad Ascea, dove immagino che anche il filosofo Parmenide (figlio diletto del Cilento), bagnasse i suoi piedi.

Col mio amico ho anche riscoperto i sapori della cucina antica della zona: gli spaghetti con le alici di menaica, i fusilli di farina di castagna, il caciocavallo, il capitone, i fichi impaccati alle mandorle e gli scauratielli. Che meraviglia di sapori! In un’epoca strana dell’umanitá, alla deriva in una postmodernitá con valori effimeri, mi é piaciuto rivisitare il Cilento attraverso il sorprendente amichevole incontro, che mi ha permesso capire che - malgrado tutto - i valori antichi danno forza per affrontare le sfide di un futuro incerto.

JUAN RASO