Luciano Violante su "Repubblica" propone autorevolmente alcuni argomenti per il No al referendum, che tuttavia, anche nelle parti più convincenti, non sembrano risolutivi per votare No.

Primo Ricorda che all’inizio vi erano due proposte anti-parlamentari poi venute meno: una sul mandato imperativo, che a dir la verità non si è mai vista in Parlamento, e un’altra su un modello di referendum propositivo (tra i vari possibili) impostato in alternativa anziché come correttivo alla rappresentanza parlamentare. Esso si è poi bloccato al Senato dopo la fine della maggioranza precedente perché in quei termini non era accettabile dal Pd e comunque dalla nuova che si è formata col Conte 2. Mi sembra invece difficile assimilare la riduzione dei numeri a quelle due forzature che toccano un principio supremo, la rappresentanza politica non legata ad un mandato imperativo né espropriata da una linea di decisione alterativa e contrapposta. La riduzione può essere variamente giudicata ed anche sostenuta in malo modo da ragioni antiparlamentari, ma non lede quel principio Né può essere appiattita su quelle. Si può quindi essere contenti per la scomparsa di due progetti sbagliati, ma questo non incide nel giudizio sul terzo: non il pezzo residuo di un sistema negativo, va valutato a sé, anche a prescindere da chi la propone e dai motivi con cui alcuni la propongono.

Secondo Violante poi parte dal presupposto che un Senato di 200 componenti non possa di per sé funzionare. È evidente che molte delle sue modalità di lavoro andranno reimpostate (di meno comunque rispetto alla riforma a cui entrambi abbiamo votato Sì nel 2016 che riduceva a 100), ma di per sé non esiste una soglia dimensionale che renda impossibile i lavori di un’assemblea o che li renda più lenti. Ci sono in Europa e nel mondo molte Camere che lavorano con quei numeri e peraltro il nostro Senato nel 1953 e nel 1958 ha già lavorato con 237 componenti.

Terzo Giunti qui, Violante propone l’argomento per il quale per determinare la maggioranza il ruolo di ciascun senatore sarebbe più pesante, il che non è necessariamente un male e peraltro va in direzione contraria ad altre critiche che parlando riduzione del ruolo del Parlamento e di ogni eletto. Se il timore è per l’atomismo di singoli parlamentari fuori da accordi stabili tra forze organizzate questo è comunque un buon pro memoria per leggi elettorali e Regolamenti parlamentari, necessariamente futuri perché gerarchicamente subordinati. Posto il problema, esso non è affatto insolubile.

Quarto Violante passa poi ad esaminare i punti dell’accordo di maggioranza che hanno reso possibile il voto del Pd, di Leu e di Italia Viva. Sulla parificazione degli elettorati attivo e passivo (18 e 25 anni) tra Camera e Senato, a breve in Aula a Palazzo Madama, la critica consiste nel dire che così si rimuove una differenziazione. Ma essa è democratica e razionale? Perché solo se fosse tale si potrebbe difendere. Quanto alla democraticità non sembra minimamente difendibile una qualsiasi Camera elettiva, a prescindere dalle sue funzioni, che escluda alcuni cittadini maggiorenni, in questo caso ben sette classi di età, smentendo il principio di sovranità popolare. Quanto alla razionalità finché entrambe danno la fiducia (meglio se in futuro la darà una sola, ma per ora è così) è anche illogico favorire risultati (e quindi maggioranze) divaricanti. Sempre nell’accordo e poi nel testo Fornaro (a breve in Aula alla Camera) vi è l’auspicata riduzione dei delegati regionali nel collegio che elegge il Presidente della Repubblica per ricondurre il rapporto a quello tradizionale coi parlamentari. Il testo fa la scelta razionale per darne uno alla maggioranza regionale (che in realtà è la minoranza più forte sovrarappresentata dal sistema elettorale) e uno alla minoranza più consistente (che spesso ha avuto pochi voti di differenza): difficile ipotizzare altre soluzioni. Nel testo Fornaro vi è poi peraltro anche il superamento della base regionale ossia la possibilità di circoscrizioni pluriregionali che on limitino la rappresentanza a sole due forze nelle Regioni più piccole.

Quinto Violante aggiunge un elenco convincente di ulteriori riforme, ben descritte e motivate. La domanda però è: ma se dovesse vincere il No si potrebbero fare? Già nel 2016 altri (non Violante, che sostenne meritoriamente quella riforma) invitarono a votare No in nome di riforme che sarebbe stato agevolissimo fare in pochi mesi. Ovviamente non si può neanche sostenere l’opposto, ossia che in caso di vittoria del Sì quelle riforme sarebbero certe o quasi. Però Violante scrive per motivare al No e questo aspetto, di riforme più ampie, non è comunque un argomento per votare No. Col Sì apriamo una breccia, col No si chiude tutto. Ce lo possiamo permettere? A giudicare di tutte le disfunzioni che molti, Violante compreso, denunciamo sullo status quo, direi di no. Meglio aprire una breccia il 20 settembre.

STEFANO CECCANTI