Sono numeri preoccupanti quelli che giungono dall’economia uruguaiana colpita duramente in questi mesi di coronavirus. Secondo i dati recentemente diffusi da Ande (Agencia Nacional de Desarrollo) in questo periodo hanno chiuso 7mila piccole e medie imprese che significano la perdita di 40mila posti di lavoro. Un colpo terribile per il motore pulsante dell’economia di questo paese che rischia di essere travolta da un terremoto. Come espresso nelle dichiarazioni di diversi ministri, il governo guidato da Lacalle Pou predica fiducia e, pur cosciente delle difficoltà, spera in una riapertura graduale di queste imprese che vada di pari passo con il recupero dell’economia. "La chiusura di 7mila realtà produttive è un dato allarmante ma in realtà questa è una cifra modesta. I numeri sono molto più alti" assicura Alejandro Francomano, esperto del tema oltre che rappresentante uruguaiano della FILEF (Federazione Italiana Lavoratori Emigranti e Famiglia). Secondo Francomano tutte le statistiche ufficiali non sono pienamente attendibili poiché non includono il lavoro informale ancora più diffuso in periodi come questo: "Siamo solo all’inizio di questa crisi e c’è ancora tanta incertezza perché non sappiamo fino a quando durerà e soprattutto, come ne usciremo". Proprio su quest’ultimo punto è opportuno fare una precisazione: "Anche nel caso in cui, volendo essere ottimisti come dice il governo, molte imprese torneranno ad aprire nei prossimi mesi in quali condizioni lo faranno? Come si sopravviverà? La perdita dei posti di lavoro ci fa capire che il panorama è abbastanza preoccupante". "In realtà" -osserva- "stiamo vivendo 3 pandemie contemporaneamente: una sanitaria che si sta gestendo bene, e poi una di carattere economico e sociale. Anche se oggi questi 2 aspetti sembrano separati sono la faccia della stessa medaglia. Seppur è vero che l’Uruguay nel contesto latinoamericano si trova ad affrontare la crisi in condizioni migliori rispetto ad altri c’è ancora tanto da fare". Francomano insiste sull’importanza delle politiche pubbliche per dare risposte immediate alla pandemia che preoccupa di più, ossia quella economica e sociale: "Dobbiamo chiederci se oggi esiste davvero la volontà e la possibilità di affrontare seriamente il problema. La prima misura adottata dall’esecutivo è stata quella del prestito di 12mila pesos alle imprese e del sussidio di 6.800 pesos ai lavoratori autonomi. Chiaramente l’idea di fondo è buona ma a essere onesti questi soldi non bastano. C’è bisogno di un’azione diretta concreta e più coraggiosa. La stessa agenzia Ande ha tutti gli strumenti per poterlo fare ma con avrebbe bisogno di appoggi più forti". L’analista italouruguaiano è convinto che le risorse per potare avanti questo tipo di politiche pubbliche "si troverebbero facilmente con la tassazione delle grandi imprese che operano nel paese, tanto quelle uruguaiane come quelle internazionali. Manca la volontà politica per potare avanti un’azione del genere, indipendentemente dal partito che oggi governa". Un’altra via potrebbe essere la "pressione attraverso il Mercosur all’interno di una strategia regionale, ma purtroppo siamo ancora molto lontani da far funzionare bene questo organismo".

MATTEO FORCINITI