Si potrebbe anche pensare: ma chi se ne frega degli italiani all’estero. E però, la legge riconosce loro il diritto di voto. Gli iscritti all’Anagrafe italiani residenti all’estero (Aire) sono circa 6 milioni: più del 10% della popolazione. Significa che il combinato disposto tra la legge costituzionale che taglia la rappresentanza parlamentare e la data scelta per il relativo referendum costituzionale mettono a serio rischio, per non dire che fanno venir meno, il diritto alla rappresentanza e quello all’elettorato passivo di più di un italiano su 10. Se la democrazia non è un’opinione, tutto ciò dovrebbe rappresentare un problema.

Cominciamo dalla legge costituzionale. Se, al referendum, dovessero prevalere i , la rappresentanza degli italiani all’estero passerebbe da 6 a 4 senatori e da 12 ad 8 deputati. Molti meno, per esempio, dell’Abruzzo, che non ha 6 milioni di residenti, ma ne ha 1,3 milioni. Vien da domandarsi che razza di "rappresentatività" possa avere un unico senatore per l’intera Europa, o per l’intero Sud America, o per tutto il Nord e Centro America...

Vien da chiedersi anche quali costi assurdi dovrebbero sobbarcarsi i candidati qualora volessero davvero far campagna in tutto il loro collegio elettorale. Quel che è peggio, forse, è però la condizione degli elettori. Diversi parlamentari eletti all’estero, a partire dal senatore Raffaele Fantetti, hanno infatti lamentato che far votare gli iscritti all’Aire nel pieno della pandemia significava negare loro il proprio diritto di voto.

Il Covid, infatti, dilaga in Brasile, Argentina e Stati Uniti, dove la maggior parte degli italiani risiede. Già venti consolati hanno chiuso i battenti. Chi garantirà a quei 6 milioni di concittadini la possibilità di esprimere liberamente il proprio voto? Risposta: nessuno. Ma chi se ne frega degli italiani all’estero, e, in fin dei conti, chi se ne frega della democrazia. Anche per questo #IoVotoNo.

ANDREA CANGINI