Due sono le strade per il Partito Democratico di perdere la partita del referendum sul taglio dei parlamentari. La prima, degna di un partito con una storia e tradizione democratica-parlamentare, è quella di dare l’indicazione del "No" al taglio ispirato da volgari ragioni anti-casta e da demagogici pseudo-risparmi. La seconda è di pronunciarsi per il "Sì" accodandosi al bla-bla-bla catechistico dei Di Maio e Toninelli in nome della "ragion di governo" che si fonda sulla fake news dell’efficacia di un parlamento ridotto. La responsabilità dei democratici nel referendum ha un valore simbolico.

L’alternativa è schierarsi dalla parte della pancia del Paese e dire un "Sì" corrivo; oppure appellarsi alla migliore tradizione del progressismo post-comunista e della sinistra cristiana post-DC indicando un chiaro "No". Per una forza politica centrale nella Repubblica, cedere sulla democrazia parlamentare al tatticismo delle poltrone di cartapesta tagliate da una forbice di cartapesta, significa divenire seguaci di complemento del peggiore grillismo. Chi conosce la storia politico-parlamentare dell’Italia sa che le buone intenzioni per cui il taglio sarebbe solo un primo passo verso la riforma costituzionale (quale?), e che la legge elettorale e i regolamenti parlamentari saranno riformati (come?), e il parlamento sarà più efficiente (perché), sono chiacchiere senza seguito soprattutto in un momento come questo.

La dottrina grillina enunciata dal distopico Casaleggio Senior prospettava l’abolizione del parlamento e la sua sostituzione con un sistema di voto elettronico permanente in mano a tutti i cittadini. Abbiamo visto quale aberrazione castale è la piattaforma Rousseau che ha consentito a persone senza peso di arrivare in parlamento e – ahinoi! anche al governo - con qualche decina o centinaia di preferenze. Se domani il M5S avesse ancora successo sospinto dai peggiori istinti (uno vale uno) e proponesse la distopia del "Senior" con la sostituzione dei parlamentari con 10 grandi elettori, i democratici sarebbero ancora una volta disposti a seguire come sembra vogliano fare oggi? A nulla vale l’obiezione secondo cui chi ha votato in parlamento in una maniera deve necessariamente seguire la stessa strada al referendum popolare.

L’ABC costituzionale insegna che i referendum - sia "abrogativo" che "confermativo" – sono stati previsti come "correttivi" del voto parlamentare per sottoporre le scelte dei rappresentanti della nazione alla verifica diretta della volontà della nazione. Il Partito Democratico abbia, dunque, un sussulto con un bel "No". La democrazia degli italiani gliene sarà grata, anche se dovesse vincere il "Sì" magari con il voto del solo 20% della popolazione.

Massimo Teodori