Due anni prima Quintino Sella, ministro delle Finanze, non aveva trovato di meglio per risanare il bilancio che introdurre la famigerata "tassa sul macinato", che voleva dire sulla farina e quindi avrebbe gravato in modo drammatico sui contadini che vivevano praticamente di pane ed erano già affamati. Ma nel 1871 la sua indagine sulle condizioni dell’industria mineraria in Sardegna, invocata inutilmente da tempo dai deputati sardi e finalmente resa urgente da una rivolta a Su Connotu, risultò approfondita, obiettiva, validissima per conoscere la situazione reale.

Sella restò nell’isola per 18 giorni e, accompagnato da un altro ingegnere, Eugenio Marchese, direttore del distretto minerario della Sardegna, visitò miniere e stabilimenti metallurgici, parlò con gli operai e i loro capi. Nella relazione sottolineò la necessità di istituire scuole che preparassero i fonditori e i quadri intermedi, e soprattutto rilevò la miseria dei minatori, la disparità tra le loro paghe e quelle dei loro omologhi del continente. Arriviamo però al 1904 senza che nessun provvedimento sia stato preso. Il borgo minerario di Buggerru e tutta la zona intorno è di proprietà della Societé anonime des mines de Malfidano, fondata a Parigi. I dirigenti francesi con le loro famiglie che si sono trasferiti lì hanno creato anche un cinema, un teatro, un circolo. Tutto riservato alla loro élite, naturalmente. Da qui, il soprannome di Buggerru: "Petit Paris".

I minatori si sono invece organizzati nella Lega di resistenza di Buggerru, con quasi 4.000 iscritti. Le condizioni di vita e di lavoro sono disumane, il trattamento economico miserabile, gli incidenti frequenti e mortali. Nell’ultimo, il 7 maggio, sono morti quattro minatori. È in questa situazione che viene diramata il 2 settembre, dall’ingegnere greco direttore della miniera Achille Georgiades, una circolare ulteriormente vessatoria: la pausa tra il turno mattutino e quello pomeridiano sarà ridotta di un’ora, per cui gli operai dovranno riattaccare non più alle 14, bensì alle 13. Un’ora impossibile, dato il clima. Esplode la protesta, i minatori entrano in sciopero.

Arrivano per trattare i leader della Lega di resistenza, Giuseppe Cavallera e Alcibiade Battelli, ma domenica 4, mentre stanno discutendo in sede con la dirigenza, i lavoratori in attesa fuori hanno la sorpresa di vedersi circondati. Sono le due compagnie del 42° reggimento di fanteria chiamate dai dirigenti. La scintilla è la richiesta, rivolta da Georgiades ai minatori, di andare a preparare i locali della falegnameria affinché possano alloggiarvi i soldati. Tutti si rifiutano. Tre minatori, venuti da lontano e quindi forse inconsapevoli di quello che sta realmente accadendo e di cosa ci sia in gioco, si fanno allora avanti.

Sono appena entrati nella falegnameria che parte il primo sasso dalla folla, diretto verso una finestra. La risposta dell’esercito è immediata. Gli spari uccidono sul colpo due minatori, un terzo muore in seguito alle ferite dopo quindici giorni, un quarto dopo venti giorni. La Camera del Lavoro di Milano decide, in seguito all’accaduto, di indire uno sciopero generale. Ci sono dubbi, tentennamenti. Ma una nuova strage, avvenuta in Sicilia, a Castelluzzo, il 13 settembre, convince anche i più recalcitranti: a una riunione di braccianti hanno fatto irruzione i carabinieri, minacciando di dare fuoco alla stanza in cui aveva luogo la riunione e poi sparando ad alzo zero.

Sono rimasti uccisi Vito Lombardo, 51 anni, con moglie e sei figli, e Anna Grammatico, 27, mentre altri sei sono rimasti gravemente feriti. Su Nicolò Bontommasi un agente ha infierito con undici sciabolate, ad Anna Grammatico il brigadiere ha sparato solo perché lei, disperata, gli ha chiesto «Per carità, dov’è Vito? È padre di sei figli!». Giuseppe Poma, 64 anni, viene ferito prima dalle palle, poi dalla sciabola, e infine da violenti colpi col calcio del fucile. Si saprà presto che il comandante dell’operazione, brigadiere Carlo Riffaldi, aveva passato tutto il pomeriggio in casa di un capo mafia. Il 16 settembre i lavoratori milanesi incrociano le braccia, seguiti subito da quelli di tutto il Nord. Lo sciopero si estende fino a Roma ed è il primo sciopero nazionale della storia d’Italia.

di SUSANNA SCHIMPERNA