A pochi giorni dalla consultazione referendaria il PD prende posizione ma l’impressione è che lo faccia piuttosto a malincuore. La Segreteria ha preso atto che all’interno del Partito, ai vertici come nella base, la scelta del SI non raccoglie consensi unanimi, anzi. Probabilmente Nicola Zingaretti avrebbe preferito lasciare libertà di coscienza ma Dario Franceschini, capo delegazione del partito al Governo, consapevole dei rischi per l’Esecutivo in caso di vittoria del NO, deve avergli suggerito di assumere una posizione più netta sul referendum.

Il Segretario Zingaretti, nel farlo ha addotto ragioni di lealtà. Ha ricordato l’impegno assunto con l’alleato nel momento in cui è sorto l’Esecutivo Conte bis. Dimenticando però che la riforma costituzionale doveva essere affiancata dal varo di una nuova legge elettorale. Di cui non si vede traccia. Era infatti noto ai maggiorenti del PD che il taglio dei parlamentari avrebbe comportato un deficit di rappresentanza popolare in seno al Paese. Che poi era il motivo per cui si era opposto in precedenza alla riforma.

Col tempo è emerso che a caldeggiare la inutile quanto dannosa riforma, è rimasto solo il Movimento 5stelle, l’unico che si intesterà la vittoria nel caso (probabile) in cui prevalgano i Si. Questo spiega anche il sostanziale disinteresse della opposizione. Che però dimostra anche, da parte della opposizione stessa, una totale miopia politica . Se davvero ambiscono a far cadere il Governo, dovrebbero invece augurarsi che siano i NO a vincere. Piuttosto che contare sugli esiti, a loro favorevoli, delle Regionali.

Come è accaduto a Renzi infatti, anche il Movimento 5stelle ha caricato il referendum di un significato politico che investe l’attività di Governo. Sollecitando una sorta di plebiscito sull’operato dell’Esecutivo. Qualcosa che ovviamente trascende il fine istituzionale della consultazione referendaria. Ma che si iscrive logicamente nella insipienza giuridica del partito di Di Maio. Più attento a solleticare gli istinti populisti che a rispettare le forme di un corretto dialogo istituzionale.

È quindi evidente che l’affermazione del NO, o una vittoria di stretta misura del SI, equivarrebbe a sconfessare, con un voto popolare, l’intera azione di Governo il quale, comunque, dovrebbe trarre delle conclusioni. Molto più di quelle che deriverebbero dalla mancata rielezione di Michele Emiliano in Puglia o della perdita della governance della regione Toscana. Probabile che Salvini e Meloni, in privato questo sperino.

Ovviamente, dato il loro precedente impegno alla riduzione del numero dei parlamentari, non possono dare ai loro elettori indicazioni diverse dal SI. Ma chiaramente sanno quale effetto dirompente avrebbe una eventuale, quanto improbabile, vittoria del No. Che in fondo si augurano. E alla fine, il motivo per cui votare NO al referendum è proprio questo. Evitare che in futuro la Carta Costituzionale sia utlizzata per i bassi calcoli elettorali di una screditata classe politica.

BRUNO TUCCI